Oggi ricorre il 42° anniversario della scomparsa di Francesco Morcaldi, “don Ciccio”, il sindaco di Padre Pio. Pubblichiamo un intervento di Giulio Giovanni Siena dal titolo ” Il Cavaliere Francesco Morcaldi nella vita di Padre Pio e nella Storia di San Giovanni Rotondo”
Chi era il cav. Francesco Morcaldi o “Don Ciccio Morcaldi”, come tutti noi rispettosamente lo chiamavamo quando era tra noi?
Era un uomo dalla fede pura, dal coraggio non comune. Era generoso, leale, intelligente. Aveva la parola facile, era ammirato da tutti, anche dagli avversari politici. La stima della popolazione non gli venne mai meno, grazie al suo spirito conciliativo. Aveva uno spiccato senso della Patria e della famiglia.
Interventista convinto, prese parte alla prima guerra mondiale come ufficiale comandante di compagnia, meritando elogi per atti di valore. Malgrado fosse stato ferito ad una gamba in un’azione oltre i reticolati, durante un’offensiva sferrata dal nemico non esitò a riprendere il comando della sua compagnia. Ma fu colpito da altre schegge di granata, rischiando di morire dissanguato. Fu quindi catturato e dopo tre mesi di ospedale venne internato in un campo ungherese. Il suo spirito indomito lo spinse ad evadere insieme al cap. Vannetti di Firenze, ma fu ripreso e rinchiuso in un campo sul lago di Balaton.
Rientrò in Italia dalla prigionia nel mese di novembre 1918 e continuò il servizio presso i comandi di presidio di Massa Carrara e di Foggia, congedandosi nel 1921.
Al loro primo incontro, Padre Pio per consolarlo della perdita di alcune persone a lui care, gli disse: «i tuoi parenti non ci sono più, ma sono qui con te. Tu non li vedi. Coraggio, le sofferenze sono pene salutari della vita, se benedette ed offerte al Signore». «Da allora – si legge nei suoi appunti – rimasi attaccato al Buon Padre da Venerazione ed affetto filiale: la Provvidenza volle che gli fossi accanto e potessi collaborare all’azione di Apostolato e di Carità che egli svolse, attraverso la quale questa zona isolata e misera del Gargano doveva trasformarsi in una cittadina ridente e piena di vita ed in un luminoso faro di spiritualità».
All’epoca la popolazione di San Giovanni Rotondo era costituita in maggioranza da proprietari di piccoli appezzamenti di terreno che spesso si dedicavano anche alla pastorizia, poiché il nostro comune aveva ed ha uno dei territori più vasti della provincia. C’era dunque, rispetto agli altri paesi del Gargano, un certo benessere.
Ciò nonostante, quando il Morcaldi iniziò a calcare la scena politica l’ordine pubblico del paese presentava un quadro veramente allarmante, con l’abigeato dilagante che metteva a rischio la vita dei contadini, i furti, la carenza di vigilanza, la disoccupazione dei braccianti, i ricatti, e persino i sequestri di persona. Ma preoccupava soprattutto la situazione politica.
Nel 1919 il clima politico si surriscaldò, particolarmente dopo lo scioglimento del consiglio a guida socialista.
Nella nostra provincia i dirigenti socialisti facevano leva sulla forza delle masse e sulla loro fame di terra per trasformare la società. A San Giovanni Rotondo prevalse la linea “massimalista” ed i contadini, anche se nella stragrande maggioranza dei casi la terra la possedevano già, si lasciarono infiammare dal mito della rivoluzione russa per averne dell’altra, anche dopo il decreto del Ministro Visocchi che stabilì l’assegnazione delle terre incolte agli ex combattenti.
Sul fronte opposto i partiti uniti in un fascio con il Partito Popolare erano determinati a contrastare con ogni mezzo il loro disegno politico.
Le nuove elezioni comunali si svolsero nel 1920, con le opposte fazioni che si fronteggiavano minacciosamente.
La vittoria arrise inaspettatamente ai socialisti, che decisero di festeggiarla collocando sui balconi del Municipio la bandiera rossa, al posto del tricolore. I partiti del Fascio reagirono sdegnosamente e minacciavano di impedirlo con ogni mezzo.
Quando il Morcaldi – che era l’animatore del partito popolare – capì che le cose stavano precipitando, ritenne suo dovere informare Padre Pio. E il Padre, conoscendone il prestigio, lo supplicò di fare di tutto per scongiurare i temuti incidenti.
«Va’, avvicina i capi, placali…» – gli disse.
Lui obbedì e cercò di convincere i capi massimalisti a riflettere sulle prevedibili conseguenze del loro disegno, invitandoli a non compiere atti inconsulti.
Ma ambedue i capi interpellati respinsero sdegnosamente le sue esortazioni, affermando che la Sezione del partito «era decisa ad agire».
Purtroppo, questo increscioso capitolo di storia sangiovannese, si concluse – come sappiamo – con i 14 morti e l’ottantina di feriti del 14 ottobre 1920.
Quel giorno “Don Ciccio Morcaldi” era al bosco. Quando un incaricato lo raggiunse per informarlo dell’avvenuto eccidio, tornò trafelato in paese e andò da Padre Pio.
Questi, affranto dal dolore, concluse il colloquio dicendogli:
«Il paese ha bisogno di te; unisci gli animi e guidalo».
Il giovane, che allora aveva appena trentuno anni, si sentì come requisito e avvertì tutto il peso e la responsabilità di queste parole. Dopo quello che era successo, attuare il desiderio del Padre era davvero cosa ardua. Difatti gli attriti proseguirono per un certo tempo.
Ma il Morcaldi, diventato nel frattempo segretario del Partito Popolare, ricucì pazientemente gli strappi e nel mese giugno 1922 lanciò a tutti i partiti un secondo appello alla pace, spronandoli ad agire – testuali parole – «in sincera intesa», per il bene del paese.
Alla sua azione pacificatrice egli attribuirà il grosso successo elettorale ottenuto nel 1923, quando fu eletto per la prima volta – con voto plebiscitario – sindaco di San Giovanni Rotondo, dopo l’avvicendamento di ben quattro Commissari Prefettizi, prevalendo sul potente Avv. Teodorico Lecce.
Sotto l’influsso dello spirito conciliativo diffuso dal nuovo sindaco, tutto sembra cambiare.
In brevissimo tempo gli odi tra i partiti si smorzano e i sangiovannesi, sotto la guida sapiente e illuminata del sindaco Cav. Francesco Morcaldi, si stringono attorno alla figura di Padre Pio per raggiungere il vero riscatto, quello che non si conquista all’ombra minacciosa delle bandiere politiche, ma inalberando il vessillo luminoso della fede.
Il popolo lo stima. E quando qualcuno per ventura non gli usa il dovuto rispetto, viene pubblicamente biasimato, come avviene nel 1924.
In vari punti del paese comparve una scritta che oggi farebbe sorridere: «Abbasso il Sindaco». Eppure il consiglio d’amministrazione ritenne doveroso riunirsi d’urgenza per esprimere la più profonda deplorazione per un atto definito «inconsulto e vigliacco» e per deliberare «la schietta e sincera ammirazione e l’incondizionata fiducia verso il beneamato Sindaco Cav. Morcaldi Francesco»
Una stima che gli verrà tributata nuovamente nel 1927, con la nomina a Podestà su designazione plebiscitaria di tutte le Organizzazioni combattentistiche, sindacali e politiche del paese, e, ancora, con l’elezione a sindaco nelle tornate elettorali del 1954 e del 1963.
La pace sociale era un bene prezioso di cui si era persa la memoria. E i sangiovannesi dovrebbero riconoscere a Padre Pio e a Francesco Morcaldi il merito immenso di avergliela restituita con la loro azione comune, ponendo così le basi per la rinascita della nostra città.
Sono anni in cui il paese è investito da nuovi fermenti di vita religiosa, grazie anche alla straordinaria attività di apostolato delle numerose donne uscite dalla scuola di Padre Pio, coordinate da Angela Serritelli, presidente del Terz’Ordine Francescano, nonché segretaria del Fascio e collaboratrice del Morcaldi.
Questa nuova armonia del corpo sociale venne però turbata dagli esposti dei nemici di Padre Pio e dai conseguenti provvedimenti restrittivi del Sant’Ufficio, nonché dai ripetuti tentativi di trasferimento di Padre Pio, che noi ben conosciamo.
Entrano in gioco qui le epiche lotte e provvidenziali sommosse del popolo sangiovannese, in difesa di un povero frate colpevole soltanto di voler soffrire abbracciato alla croce di Cristo che nella sua storia di immensa sofferenza trovava il tempo di pensare concretamente alle famiglie dei tribolati e alle necessità dei poveri del paese.
Nel 1922 il Morcaldi, nel consegnare al Padre Guardiano di Foggia una raccolta di 2800 firme di sangiovannesi e sammarchesi – avente lo scopo di ammonire le autorità ecclesiastiche – sconsiglia qualunque tentativo di trasferimento di di P. Pio prevedendo altrimenti “incresciose conseguenze”.
C’era il rischio, infatti, che l’indole non certo pacifica dei sangiovannesi, potesse provocare gravi incidenti e tutti, comprese le autorità ecclesiastiche, ne erano consapevoli.
Se non scorse sangue lo si deve al Cavaliere Morcaldi, il quale fu abile tanto nel mobilitare la popolazione quanto nell’ammansirla nel momento del pericolo, ottenendo alla fine prima la sospensione dell’allontanamento di Padre Pio da San Giovanni Rotondo, nel mese di agosto 1923, e poi la liberazione dall’isolamento, avvenuta nel 1933. In questo ebbe al suo fianco uomini valenti come il dott. Leandro Giuva, il dott. Luigi Collicelli, Michele Mondelli, Luigi Massa, i quali hanno scritto la loro di parte di storia nelle vicende di Padre Pio insieme al popolo tutto e a uomini d’azione come Nicola Cascavilla, Giovanni Fiorentino, Filippo Ferrara, Tommaso Sassano, Mario Campanile e tanti altri.
Che il Morcaldi fosse il coordinatore tenace e intelligente delle sommosse è fuori discussione, perché è testimoniato anche da chi vi partecipò.
Egli aveva a Roma, anche in Vaticano, validi amici ed informatori che stimavano Padre Pio e che lo preavvisavano delle mosse delle autorità ecclesiastiche. Quando dalla capitale, ad esempio, arrivava una cartolina non firmata con la scritta «saluti», il “Nostro” capiva che c’era un trasferimento in atto. Si spiega così il tempismo eccezionale con cui egli mobilitava la popolazione per andare in soccorso di Padre Pio. Uno degli informatori era Mons. Valbonesi.
Fino agli inizi degli anni trenta per il Morcaldi fu tutto un esplodere di movimenti popolari, un correre a Foggia e Roma, presso la Santa Sede, presso i Superiori Provinciali e Generali dei Cappuccini, coadiuvato e sorretto moralmente da don Luigi Orione, tanto che, prevedendone la recente canonizzazione, era solito dire: «il Signore mi ha voluto bene, facendomi vivere in mezzo a due santi».
Uno degli episodi più preoccupanti per l’ordine pubblico si verificò con la pubblicazione nel mese di giugno 1923 del decreto del Sant’Ufficio che proibiva a P. Pio di celebrare messa in pubblico e di avere corrispondenza spirituale coi fedeli.
L’indomani, sparsasi anche la voce di un suo prossimo trasferimento, i sangiovannesi dimostrarono di essere veramente pronti a sacrificarsi per il Padre. La folla scesa in strada. Furono pronunciate minacce contro i presunti responsabili dei ricorsi alla Santa Sede. I fascisti istituirono una guardia fissa al convento, pedinavano chiunque; minacciavano i sacerdoti in arrivo, ritenuti emissari della Santa Sede giunti per rimuovere Padre Pio dal convento. C’era rischio di scontri con le forze dell’ordine.
Il sindaco Morcaldi istituì subito un comitato di protesta e fu indetto un comizio, per far capire alle autorità tutorie che le cattive intenzioni del nostro popolo erano reali.
Fortunatamente il Prefetto, interessato dallo stesso sindaco, comunicò tramite i carabinieri la notizia che le autorità ecclesiastiche non avrebbero più rimosso il Padre. Gli animi si placarono.
Ma il 26 mattina Padre Pio non scese in chiesa. Era la conferma che gli era stato vietato di celebrare Messa in pubblico.
Apriti cielo!
I presunti provocatori delle persecuzioni di Padre Pio per poco non furono linciati. Poi la folla si portò in Piazza dei Martiri, richiamata dai colpi di mortaretti, e formò un corteo di circa tremila persone che fece il giro del paese al grido di «Viva Padre Pio».
In Piazza dei Martiri presero la parola il dottor Leandro Giuva, Luigi Massa e il sindaco Morcaldi.
Il discorso più trascinante e focoso fu quello pronunciato dal sindaco Morcaldi, che a un certo punto gridò:
«Il giorno in cui venisse tentato di toglierci Padre Pio, io non esiterei a svestirmi della carica di sindaco, per divenire un privato cittadino e compiere tutto intiero il mio dovere!»
Vi furono applausi scroscianti. Un fiume impetuoso di persone si portò al convento, dove si gridò, si minacciò e si pretese dal P. Guardiano l’immediata revoca del provvedimento.
Alla fine, sotto le pressioni del sindaco e per paura di disordini, il Superiore cedette, riservandosi di riferire al Padre Provinciale.
Quando il Cav. Morcaldi si affacciò alla finestra con a fianco Padre Pio, le campane suonarono a festa e dalla folla si alzò un urlo formidabile, seguito da un fragoroso applauso e dallo sventolio dei cappelli.
Si legge in un giornale dell’epoca:
«…il Padre, cereo in volto, con gli occhi bassi e gonfi di lagrime e con le mani congiunte in atto di preghiera, appariva oltremodo commosso. Tutti avevano le lagrime agli occhi ed il cappello in mano, inteneriti oltre ogni dire. In ultimo fu chiesto ed ottenuto che Padre Pio scendesse in chiesa per dare la benedizione. (…) Le autorità religiose traggano da questa manifestazione proficuo ammaestramento, e gli individui denigratori imparino a proprie spese che è pericoloso offendere la fede di un popolo»
Ottenuto lo scopo, il corteo si sciolse. Ma un nutrito gruppo di volontari continuò a presidiare il convento a tempo indeterminato.
Per dare all’occorrenza l’allarme alla popolazione, il sindaco fece sistemare una sirena sul municipio e l’affidò al valoroso Michele Mondelli, presidente dell’Associazione dei Mutilati. Questi, pur avendo una gamba sola, rimase famoso per aver scavalcato con un amico il muro di cinta del convento al fine di dissuadere con le minacce il Padre Guardiano dal far partire Padre Pio.
Durante il tumulto molti sangiovannesi avevano con sé bastoni, roncole, forche e altre armi bianche. Altri portavano di nascosto armi da fuoco o erano pronti a prelevarle da nascondigli situati vicino al convento. E’ proprio vero che il troppo amore non fa ragionare!
Naturalmente Padre Pio era figlio dell’obbedienza e soffriva disperatamente per quanto stava accadendo. Perciò scongiurava Francesco Morcaldi di desistere dalla lotta, per timore che la sua persona potesse essere causa di incidenti. Ma in questo il Cavaliere se ne andò per la sua strada, convinto che prima o poi sarebbe riuscito a ridare al Padre la libertà. Egli poteva ben dire – come diceva : «Io sono il sindaco di Padre Pio»!.
Alla fine, il premio arrivò negli anni 1933 e 1934: l’amato Padre venne riammesso a celebrare messa nella chiesa del convento, a confessare i religiosi fuori di essa, a confessare gli uomini e, infine, a confessare le donne. La lunga segregazione era finita.
Ci resta, come atto scritto di riconoscenza del nostro Santo, l’ormai famosa lettera del 12 agosto 1923 indirizzata a Francesco Morcaldi, sindaco di San Giovanni Rotondo, e un plauso va all’amministrazione uscente che ha avuto la sensibilità di affiggere in Piazza Padre Pio, per i posteri, una lapide commemorativa riportante il testo della lettera, ad eterna memoria di un reciproco rapporto d’amore intercorso tra il santo e il popolo di San Giovanni Rotondo.
Ritengo opportuno, in questo contesto, rileggerla:
«Illustre Sig. Sindaco, i fatti svoltisi in questi giorni mi hanno profondamente commosso e mi preoccupano immensamente perché mi fanno temere che io possa essere involontariamente causa di luttuosi avvenimenti per questa mia cara cittadina.
Io prego Iddio che voglia allontanare tale iattura, riversando su di me qualunque mortificazione. Però se, come Ella mi ha comunicato, è stato deciso il mio trasferimento, io la prego di adoperarsi con ogni mezzo, perché si compia la volontà dei Superiori, che è la volontà di Dio, ed alla quale io obbedirò ciecamente.
Io ricorderò sempre cotesto popolo generoso nella mia povera ed assidua preghiera, implorando per esso pace e prosperità e quale segno della mia predilezione, null’altro potendo fare, esprimo il mio desiderio che, ove i miei superiori non si oppongano, le mie ossa siano composte in un tranquillo cantuccio di questa terra.
Con osservanza mi dico tutto suo nel dolce Signore, 12 agosto 1923, Padre Pio da Pietrelcina».
Padre Pio nutriva per Francesco Morcaldi una stima e un affetto veramente particolari. Egli, a sua insaputa, si prodigò addirittura per una raccomandazione presso il Ministero dell’Interno al fine di farlo rieleggere sindaco nel 1927. Nella lettera Padre Pio parla di «degnissima persona di ogni riguardo, e tanto bene ha fatto a questo comune, ed in questo è l’unico, senza tema di smentita».
Quando P. Gerardo Saldutto, a distanza di anni, mise al corrente il Morcaldi dell’esistenza di questa lettera, egli scoppiò in lacrime, colpito da tanta attestazione di stima e di affetto.
Nessuno può comprendere i disegni della Divina Provvidenza, ma essa deve aver agito sui passi di F. Morcaldi, giacché ha voluto che egli fosse sindaco in anni veramente cruciali o importanti della vita di S. Pio da Pietrelcina e della storia di S. Giovanni Rotondo: come nel 1925, quando, dopo una lotta amministrativa pluridecennale con le autorità provinciali, portò a coronamento il sogno sei sangiovannesi di restituire il convento ai frati cappuccini, firmando il contratto di enfiteusi perpetua, o nel 1956, quando si inaugurò la Casa Sollievo della Sofferenza o, ancora, nel 1959, quando arrivò dal cielo, tra l’ovazione popolare, la statua della Madonna di Fatima, che operò la prodigiosa guarigione di Padre Pio.
Che dire poi dei tanti provvedimenti amministrativi e delle opere pubbliche realizzate nella nostra città durante i suoi quattro mandati?
– si inaugura l’ospedaletto “S. Francesco”, voluto e finanziato da Padre Pio per i poveri, nel 1925;
– si esuma il vecchio progetto della strada Cagnano-San Giovanni del 1885 e si sventa il tentativo di deviarla verso Frazione di Montagna;
– si realizza l’edificio scolastico di Viale Kennedy;
– si inaugura la rete di pubblica illuminazione, promossa per iniziativa del dott. Leandro Giuva e del Sig. Giulio Siena;
– si ottiene l’impianto idrico dall’“Ente Autonomo Acquedotto Pugliese”;
– si bonifica il fosso di raccolta dei residui putridi, insano e maleodorante, e al suo posto sorge lo splendido Parco delle Rimembranze con il monumento ai Caduti;
– si acquista un sottano e viene sventrato per collegare via S. Caterina all’allora Corso Nazionale, andando incontro a un grosso problema degli abitanti, costretti a lunghi giri viziosi per rientrare nelle loro case;
– si inaugura una nuova ala del cimitero;
– si istituiscono numerose scuole rurali e una scuola musicale;
– si ricostituisce la banda, con i concerti domenicali;
– nasce il servizio di pesa pubblica che stroncò l’uso truffaldino di stadere truccate;
– si istituiscono i carri-botte e si progettano le fognature, con grande beneficio per la sanità pubblica;
– persino nel campo atletico San Giovanni Rotondo primeggia a livello provinciale, grazie al peso dato dall’amministrazione alle manifestazioni sportive.
Nel libro ristampato dall’Amministrazione Comunale il Morcaldi passa in rassegna tutte queste opere e alla fine, con un comprensibile e giusto scatto di orgoglio, esclama:
«Può ben dirsi che furono questi i primi segni certi dell’ascesa della comunità di San Giovanni Rotondo».
Come non dargli ragione?
Ma, contrariamente a quanto avviene oggi, egli fu anche pronto a frenare gli eccessi che avrebbero potuto ritorcersi contro l’onore la città.
Così nel 1924 il consiglio municipale respinse una proposta di edificazione di un albergo di una società forestiera, affinché non si potesse dire che si voleva industrializzare e sfruttare la presenza di Padre Pio!
Francesco Morcaldi ricoprì anche cariche in enti diversi dal Comune.
Fu presidente della sezione locale degli ex combattenti, dirigente della Democrazia Cristiana nel 1946, attivissimo Deputato Provinciale addetto ai lavori pubblici nel 1948, componente del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Agrario Provinciale, Presidente dell’Associazione di Rinascita Garganica nominato dai sindaci del promontorio, primo presidente della sede sangiovannese dell’Ente Nazionale Italiano per il Turismo.
Nel 1954 fu eletto nuovamente sindaco della città, carica che riuscì a tenere con dignità e prestigio fino al 1958, mandando a termine molte altre opere pubbliche e accogliendo i ministri Medici e Gui, in visita ufficiale a S. Giovanni Rotondo. Ma soprattutto accolse con un abbraccio Padre Pio che onorò con la sua presenza questo Palazzo di Città, firmò il registro degli ospiti illustri e dal balcone centrale benedisse la popolazione esultante, raccolta in Piazza dei Martiri.
Venne infine rieletto sindaco nel 1963…
A questo punto credo che sia lecito porsi una domanda, che non vuole essere assolutamente provocatoria:
«Che ne sarebbe stata della vita di Padre Pio o della storia di San Giovanni Rotondo se fossero venuti a mancare il carisma, la fede e l’opera preziosa e tenace del cav. Francesco Morcaldi?»
I fatti mi inducono a credere che Padre Pio sarebbe stato trasferito in chissà quale convento della Spagna o delle Marche – dove avrebbe comunque percorso un cammino di santità (sia ben chiaro), ma diverso – e che i sangiovannesi, anziché aggrapparsi con tutte le forze alle sue vesti per costruire il proprio futuro, avrebbero continuato ad arrovellarsi in stagioni politiche caratterizzate dalla litigiosità o dall’odio.
Ed è un peccato che in questi ultimi decenni parte della leadership sangiovannese abbia perso facilmente di vista l’obiettivo comune, privilegiando la politica dello scontro alla politica costruttiva del sano confronto, la sola che può assicurare un futuro dignitoso alla nostra cara ed amata città.
Non sempre la storia è maestra di vita, principalmente quando si ha la memoria corta!
Penso che sia invece necessario volgere lo sguardo al passato e riscoprire la figura di “Don Ciccio Morcaldi”, per emularlo come cittadini, come politici e come amministratori pubblici, con l’impegno reciproco di lavorare insieme per ricreare in San Giovanni Rotondo un clima più sereno, degno della città di San Pio da Pietrelcina. Solo così potremo ritornare nel sentiero del progresso civile già tracciato per noi dalla Divina Provvidenza, dal quale, purtroppo, ho l’impressione che ci stiamo allontanando.
Su questo i partiti dovrebbero meditare e confrontarsi nel prossimo futuro, anche durante la prossima campagna elettorale. Il resto verrà di conseguenza.