“Io, Alberto Valente Pietroboni, nel pieno delle mie facoltà intellettuali, fisiche, etiche e soprattutto morali dispongo che siano rispettate le mie volontà qualora, dopo l’intervento cardiaco, possano sopraggiungere condizioni irreversibili e gravi. In caso di coma irreversibile, di compromissioni delle attività cerebrali o fisiche che non consentano la mia totale coscienza (stato vegetativo) dispongo di non intraprendere atti o procedure (comprese alimentazione ed idratazione) che vadano ad allungare inutilmente la sofferenza mia e di chi mi sta vicino. Rifiuto ogni forma di accanimento cieco e sordo alle mie volontà, che voglio vengano rispettate dalla mia famiglia e dal personale sanitario.”
Iniziava così la lettera che scrissi sei mesi fa, una settimana prima di entrare in sala operatoria. Rileggerla non è stato semplice. Rivivere e ripensare alle emozioni e alle sensazioni di quei momenti. Al percorso che mi ha portato a maturare una scelta cosi importante.
Tratta di un tema delicato, come pochi. Il fine vita.
In queste ore, il nostro Paese, grazie al sì delle Camere, si è dotato di una norma che disciplina e rende legali le ultime volontà di un paziente.
La legge prevede 5 articoli.
L’articolo 1, detto consenso informato, prevede che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata.
Il cuore della legge è l’articolo 3 sulle disposizioni anticipate di trattamento (Dat) : “ogni persona maggiorenne, capace di intendere e volere, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può, attraverso Disposizioni anticipate di trattamento, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali”. Le Dat, sempre revocabili in qualsiasi momento, risultano, inoltre, vincolanti per il medico e “in conseguenza di ciò è esente da responsabilità civile o penale“, cosa che metterà al “riparo” da azioni legali, e quindi tutelerà, anche il personale sanitario.
In questi anni si è discusso molto. Ma spesso, in Italia, si discute per emozioni, per scaletta giornalistica, non si entra mai nel merito, nel vivo del problema.
Ci si divide su steccati idelogici, ogni argomento è trattato come fosse un post, mi piace o non mi piace, condividi o non condividi. Passiamo avanti, scorre la bacheca. Due like dopo nemmeno ci ricordiamo di cosa parlava il post sopra. Tutto ci sembra lontano, “e per tutti il dolore degli altri è dolore a metà”, Faber ci aveva visto lungo come sempre.
Ma questa pratica ha padri nobili. Una classe politica incapace di interpretare e farsi guida dei processi sociali, culturali, civili. Costantemente in ritardo, che insegue la pancia del paese, rimanda certi temi che quindi rimangono fuori dell’agenda politica perché divisivi, perché non portano punti nei sondaggi. Meglio le paure quelle “vive”.
Va detto che oggi è una giornata storica. Dopo molti anni, si deve riconoscere un ruolo importantissimo al Parlamento Italiano per l’approvazione di questa legge fondamentale per uno Stato civile come il nostro.
Allora il tema viene fuori solo quando qualche persona riesce ad alzare l’attenzione.
Negli anni Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, Eluana Englaro, Fabiano Antoniani (Dj Fabo) . Ma si dimentica o meglio si ignora che il tema riguarda migliaia di persone purtroppo. Anziani, giovani che sono lontani dal clamore mediatico, i dimenticati.
Io ho vissuto sulla mia pelle e nella mia coscienza il peso di questa scelta.
Non cercavo e non cercherò condivisione per la mia volontà, non è condividendo che la scelta diventa meno o più delicata e semplice. Non cercavo e non cercherò compassione, è una decisione personale, intima.
Voglio, dal mio punto si vista, che ognuno di noi, in piena coscienza, sia libero di decidere e scegliere su cosa fare nel momento più drammatico e delicato della propria vita.
Questo non può farlo un servizio al TG, non può farlo un giudice, che non sa nemmeno che faccia ho o cosa penso. Ma può farlo una legge.
Credetemi non è una decisione facile. Molti di voi non comprenderanno, altri mi prenderanno per uno stupido, ma capisco, ci sono passato anche io.
Ma quando ti trovi a fare i conti con certe situazioni, quando devi affrontare un’operazione complicata e rischiosa, a cuore aperto, con il cuore che si ferma per ore e il tuo sangue passa per altrettante ore in una macchina, quando immagini il dopo la paura viene a bussare alla porta. Puoi decidere di non aprire o di affrontarla. Affrontarla significa anche sapere che può non andare tutto bene, è un rischio che corri andando incontro a determinate operazioni.
Ci sono voluti mesi, nottate insonni per arrivare ad una decisione.
Dubbi e pensieri che venivano fuori. Non è vigliaccheria quella di decidere che non ci sia accanimento sul tuo corpo, ma credo sia un atto di libertà e coraggio, quello di poter decidere anticipatamente che un giorno per via di un incidente, di una malattia degenerativa o di un’operazione non si debba sopravvivere artificialmente senza dignità. Amare la vita vuol dire anche scegliere di non essere tenuto in vita da delle macchine quando non c’è più nulla da fare.
Non si impone a nessuno questa scelta ma si garantisce a chi decide di farlo di essere rispettato e tutelato.
Dignità e libertà, i due principi sacri ed inviolabili di questa nostra vita, non si devono mai perdere anche quando essa è al tramonto.