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22 Nov

I dolori del siculo Mattarella

28 Maggio 2018
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di Leonardo Fania

Alla fine si è consumato lo scenario peggiore. Sergio Mattarella, forte delle sue prerogative costituzionali, ha esercitato il suo veto sulla nomina del Ministro dell’Economia, quel nome che, a detta di Salvini e Di Maio, sarebbe stato l’asse portante del cosiddetto “governo del cambiamento”.

In mezzo alla tempesta la mite figura di Giuseppe Conte, passato dalle luci della ribalta all’essere, di nuovo, il comune cittadino e il professore tanto apprezzato dai suoi studenti.

Nel recente passato era già successo che un presidente della Repubblica si rifiutasse di nominare un ministro proposto da un presidente del Consiglio incaricato. Nel 2014, quando Matteo Renzi fu incaricato di formare un governo dal presidente Giorgio Napolitano, propose il nome del magistrato Nicola Gratteri come ministro della Giustizia. Secondo quanto scrissero i giornali, Napolitano si oppose alla sua nomina, per la quale fu poi scelto Andrea Orlando. La motivazione principale, scrissero i giornali, fu che è consuetudine che un magistrato in servizio non possa ricoprire l’incarico di ministro della Giustizia. Ma si disse anche che Napolitano non condividesse l’approccio di Gratteri alla gestione della Giustizia, notoriamente duro e poco garantista, almeno secondo le descrizioni che ne fecero i giornali.

Nel 1994, invece, sempre sul ministero della Giustizia si scontrarono Silvio Berlusconi, al suo primo incarico da presidente del Consiglio, e l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Berlusconi propose Cesare Previti, allora suo avvocato e notoriamente avverso alla magistratura italiana. Scalfaro ottenne che Previti finisse al ministero della Difesa. Un terzo caso, meno noto, è quando nel 2001 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi si oppose alla nomina – di nuovo – a ministro della Giustizia di Roberto Maroni, per via dei suoi processi in corso per un famoso episodio in cui oppose resistenza a una perquisizione nella sede della Lega Nord. Maroni finì al Lavoro, e alla Giustizia fu nominato Roberto Castelli.

Ora Mattarella, al di là delle valutazioni politico-istituzionali, si trova dinanzi ad un bivio: sa benissimo che Cottarelli non ha alcun tipo di maggioranza e spera che possa approvare, attraverso un senso di responsabilità nazionale, la Legge di Stabilità con la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, eredità del governo Gentiloni. Ma, d’altro canto, cosa fare con i cosiddetti populisti che, a meno di ribaltoni dell’ultima ora, si apprestano a vincere a piene mani le elezioni autunnali?

Restano, però, forti dubbi sull’opportunità politica dell’azione del “siculo Mattarella”: Salvini, Di Maio, e gran parte degli italiani, lo hanno esplicitato, forse non conoscendo Goethe, che nel suo romanzo I dolori del giovane Werther scriveva: “Ogni parola che si pronuncia fa pensare al suo contrario”.

 

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