Partito da Rignano Garganico, oggi vive a Milano. A 28 anni è Senior Consultant presso Ernst&Young. E’ il più giovane membro Senior della Società Italiana Marketing ed è uno dei giovani talenti di Capitanata sparsi per l’Italia e per il mondo. Ha passione da vendere e i confini italiani gli stanno un po’ stretti. Su Capitanata Chiama racconta il suo percorso, la poca attenzione delle istituzioni verso il fenomeno dei cervelli in fuga, ma anche un Mezzogiorno che troppo spesso ha poca fiducia nei suoi giovani. “E così l’Italia perde i suoi cervelli e continua ad impoverirsi da un punto di vista culturale – racconta -, che è la peggior forma di povertà, perché uccide il futuro di una nazione”.
Sei un giovane talento della nostra Capitanata, ma anche uno dei nostri cervelli in fuga. Oggi vivi a Milano: qual è il tuo percorso di formazione e di crescita professionale?
Da un po’ di anni oramai, non saprei esattamente definire dove sia la mia dimora stabile. Dopo aver frequentato il Liceo a San Giovanni Rotondo, mi sono trasferito a Roma dove ho ottenuto la Laurea Magistrale in Ingegneria matematico-gestionale presso l’Università “Sapienza”. Contestualmente, per mezzo di una borsa di studio, nel 2013 ho ottenuto anche una seconda Laurea Magistrale Summa cum Laude in Management a Parigi presso l’Università Paris XI. Quindi, ho iniziato la mia carriera attraversando per cinque anni alcune delle più importanti società di Management Consulting (Accenture, Ernst&Young, ValueLab), perlopiù in progetti fuori dall’Italia. Oggi lavoro a Milano e sono Senior Consultant presso Ernst&Young. Ho la fortuna di essere il più giovane membro Senior della Società Italiana Marketing. E, all’attività aziendale, ho sempre affiancato anche la collaborazione con diverse Università e Business School, tra le quali l’Università “Bicocca” di Milano, la Business School “Il Sole 24 Ore”, la Business School di Bologna, e collaboro con l’Università “Bocconi” su specifici percorsi di ricerca. Credo nella possibilità di rendere il mondo un posto migliore e lotto per la difesa dei diritti umani. Questo mi ha portato a prendere parte in diverse missioni umanitarie ed esperimenti di micro-credito in Africa; e, non da ultimo, a contribuire al raggiungimento nel luglio 2016 dell’abolizione della pena di morte in Guinea. Per questo, quando mi viene posta questa domanda, penso sempre a quella frase di Seneca nel De vita beata: “Farò del mondo la mia patria, e di Dio la mia guida”.
Perché sei andato via dalla provincia di Foggia? E’ stata una scelta o una necessità dettata dalla mancanza di opportunità?
Credo sia stato il mio desiderio di esplorare, di conoscere il mondo, di entrare in contatto con nuove culture, la mia sete di sapere che è sempre stata inarrestabile. Dante, nel Canto di Ulisse, descrive benissimo questa immagine: “…l’ardore ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore”. Quando penso alla mia adolescenza in Puglia, ho sempre dentro di me l’immagine di un ragazzo che dal suo piccolo paesino sospeso nell’immenso, scruta l’infinito dell’orizzonte come se una voce lo stesse chiamando. È stata una scelta che ho desiderato con tutto me stesso e ringrazio i miei genitori per i sacrifici fatti affinché potessi studiare a Roma, il mio trampolino di lancio sul mondo.
Cos’è che secondo te porta via cervelli e capitale umano dal nostro territorio? E’ solo una questione di soldi o c’è anche altro?
Non credo si possa farne una mera questione di soldi e di retribuzione, soprattutto quando si parla di cervelli in fuga. La motivazione principale per cui si va via non sono le condizioni economiche che si trovano all’estero. E’ il tipo di lavoro che viene svolto che ha maggior capacità di evoluzione e di sviluppo e, diciamolo pure, di divertimento intellettuale. Non è la retribuzione economica, ma la quantità di investimento che si fa in ricerca ed in innovazione. Per questo coloro che vanno via spesso sono i migliori, perché sono i più appassionati verso il progresso. Si va via anche per aspirare ad una maggiore meritocrazia e ad un più elevato senso civico.
Quando si parla di questi temi, soprattutto al Sud Italia, si cade spesso nell’autocommiserazione. Tuttavia, nel mondo, di cervelli italiani ce ne sono e un motivo ci sarà. Di cosa possiamo andar fieri quando andiamo all’estero?
È usanza abituale quella di piangerci addosso, di dire che non si può fare nulla, che andrà sempre così, che non si andrà mai da nessuna parte. E poi, quotidianamente, non facciamo altro che soffocare ogni forma di progresso, di sviluppo. Ci domandiamo quale sia il segreto del successo, teorizzando le cose più assurde e a volte le più cattive, senza sapere che tutto ciò che occorre è darsi da fare in ogni ambito. Nel mio piccolo so qualcosa di quanto tremi l’Italia, quando si cerca di cambiarla, quando si toccano le antiche tradizioni e si dimostra che un nuovo modo di vedere le cose è possibile. Il problema è che qui le cose devono restare così come sono: si discute all’infinito, scoppiano scandali, si incrociano affermazioni e smentite, ma tutto resta sempre fermo. Parafrasando il Marchese del Grillo : “Qui dovemo stà come stamo, e dovemo magnà solo noi”. L’Italia è piena di Marchesi del Grillo. Ma se lasciamo arrugginire i nostri sogni, tutto perde di sapore. Se ci appiattiamo ad una mentalità mediocre, alla ricerca del favoritismo, della raccomandazione facile, del cullarsi troppo sullo stato sociale cercando di imbrogliare il sistema e di ottenere le cose senza meriti né sforzi, i nostri sogni arrugginiscono. Da una parte c’è una profonda mancanza di fiducia in noi giovani, ma c’è soprattutto mancanza di fiducia di noi giovani in noi stessi. Il più grande rammarico che ho per la mia generazione, è la mancanza di ambizione. Le due frasi peggiori di questa italianità resteranno sempre: “Questo non è di mia competenza” e “Lo abbiamo sempre fatto così”. L’Italia è uno dei pochissimi Paesi industriali al mondo a poter vantare una cultura non specialistica. Forse la nostra funzione, il nostro vero valore aggiunto rispetto agli altri Paesi del mondo, è quella di mettere insieme, di unire mondi diversi, di essere i grandi assemblatori dell’Occidente, un po’ come Leonardo, Marconi, Fermi. Che ci hanno insegnato a profondere sempre, in qualsiasi parte del mondo, il nostro apporto di cultura, di invenzione, di fantasia, di sensibilità mediterranea.
Come fare per arginare la fuga di cervelli che sembra così inarrestabile in Italia? Ti sembra che le istituzioni stiamo facendo qualcosa?
Le cause di fondo di questo flusso in uscita di cervelli non sembrano destare troppi allarmi tra le classi dirigenti. Non si ha, in altri termini, l’impressione che ci siano le basi e le dovute intenzioni per provare a tamponare quest’emorragia. E così l’Italia perde i suoi cervelli e continua ad impoverirsi da un punto di vista culturale, che è la peggior forma di povertà, perché uccide il futuro di una nazione. Gli italiani all’estero hanno cognizioni, competenze e voglia di fare che potrebbero trasformarsi in un grande motore di crescita per il nostro Paese. Il problema è convincere chi è emigrato a tornare in Patria: occorre investire sulle loro capacità e dar loro la possibilità di realizzare le loro grandi idee, senza ostacolarli, senza temere la loro bravura e lo loro competenza. È necessario tornare ad investire nella scuola, nell’università, nella ricerca, riorganizzare i sistemi di protezione sociale e territoriale, innovare il nostro sistema produttivo, imprenditoriale e di trasporti, finanziare con capitali di rischio le start-up, le giovani imprese innovative: queste piccole lucciole nella notte che rappresentano uno slancio, una speranza, per il presente ed il futuro della scienza, della tecnica e della cultura italiane.
Pensi che la Capitanata abbia un potenziale su cui investire? Da dove iniziare e soprattutto come fare ad attrarre cervelli sul territorio foggiano?
La Capitanata è un bacino straordinario di opportunità. Ci sono luoghi nel mondo che, con molto meno, hanno fatto grandi cose. Abbiamo il sole, il vento, terreni fertili, posti magnifici. Quello che manca è la capacità di collaborare, di guardare con approccio costruttivo alle cose, di crederci fino in fondo, di avere fiducia nelle nostre possibilità. Troppo spesso all’estero si sente dire che il Mezzogiorno somiglia ad una trappola, fitta di ragnatele e di compromessi. Questo rischio si somma ai rischi più noti dell’intero sistema Italia: gli angoli scarsamente illuminati della vita pubblica, il sistema mafioso, il sistema di tangenti, le sacche di ignoranza e di incompetenza, che scoraggiano profondamente sia gli italiani all’estero a rientrare sia le imprese estere ad investire al Sud. Ma il mare in tempesta, non ci deve distogliere dal tracciare le nostre rotte. La Capitanata ed il Mezzogiorno hanno bisogno di farsi mondo, di connettersi, di digitalizzarsi, di investire nei settori dell’industria e dei servizi, di aprirsi al mercato, di creare struttura per la ricerca e lo sviluppo, affinché l’università diventi un ponte con la vita e con il tessuto sociale. C’è bisogno di creare quell’ecosistema fertile ed un giorno, per citare Paolo Borsellino: “Questa terra sarà bellissima!”.
Fonte Capitanata Chiama