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Per non dimenticare “La notte” dell’Olocausto

27 Gennaio 2018
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E’, probabilmente, uno dei testi più conosciuti sulla tragedia dell’Olocausto: “La notte”, edito da Giuntina, il racconto di Elie Wiesel, uno dei pochi sopravvissuti all’orrore dei campi di concentramento.

Nato nel 1928 a Sighet, in Transilvania, Elie Wiesel venne deportato ad Auschwitz e Buchenwald.
Dopo la guerra ha fatto per alcuni anni il giornalista in Francia e poi si è trasferito negli Stati Uniti. Attualmente insegna all’Università di Boston. Nel 1986 ha ricevuto il premio Nobel per la pace.

Elie Wiesel viene da una famiglia di ebrei hassidici, ama pregare, si interessa alla Cabala, al misticismo. Questo suo amore per Dio, per la preghiera, questa fede smisurata, ci introduce nel racconto, fatto di orrore e di morte. Elie vive le sue giornate pensando a Dio, meditando, pregando. Quel Dio che, a poco a poco, muore dentro di lui, finisce impiccato con il giovane pipel dal volto d’angelo, il ragazzo giusto accusato di tramare una rivolta. Dio manca anche durante le celebrazioni per Rosh haShana, un’importante festa ebraica, manca nella preghiera stessa. Non ha più senso digiunare per Dio, quel Dio che forse neanche c’è.

Prove dell’esistenza di Dio non ce ne sono a Auschwitz. Prove che Dio non esista ce ne sono infinite.

In quegli anni si perde tutto. Come Wiesel, si saluta la mamma e la sorellina il primo giorno, all’arrivo al campo. E il padre, l’ultimo giorno, quando la libertà è vicina.

«Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai».

 

Da una recensione: “Un altro importante contributo per non dimenticare ciò che furono i campi di concentramente e l’Olocausto. La brutalità, l’abominio, la bestialità, l’efferatezza, il disprezzo, la disumanità, la sopraffazione, l’annullamento perpetrati dall’uomo sull’uomo; quanto di peggio e di più vergognoso la storia ci ha consegnato. Si chiedeva Elie Wiesel, in un altro libro: “Se Auschwitz non ha saputo guarire l’uomo dal razzismo, che cosa potrebbe riuscirci?”. Questa domanda ci obbliga a riflettere e a fare lo sforzo di trasformare la sottesa risposta negativa che sembra prospetttare Wiesel in atteggiamenti capaci di ribaltarla, di proporre un futuro ove non esistanto altri stermini, genocidi, olocausti. La memoria di ciò che fu quell’immane tragedia di cui Wiesel fu vittima ci aiuterà e i libri, con le loro testimonianze, aiuteranno la nostra memoria di uomini, di uomini liberi”.

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