di Alessandro Santarsiero
Come ogni 19 luglio ricordiamo la scomparsa di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta.
Era il 19 luglio, ma del 1992, un’altra Italia, un’altra società.
Molti di noi erano ragazzini intenti a giocare nei cortili, non curanti magari dell’esistenza di un male oscuro e sconosciuto come era ed é la mafia, ma il 23 maggio prima, ed il 19 luglio poi, hanno cambiato la prospettiva di un paese e forse, spero, delle coscienze che lo abitano.
La chiave di volta dell’intera carriera dei due magistrati é racchiusa in quei 56 giorni nei quali Paolo Borsellino ha scandagliato fatti, documenti, incontrato pentiti eccellenti e manovali delle cosche, ha girato moltissimo tra la Sicilia ed il continente, come si usa chiamare il resto della penisola dagli isolani.
Borsellino ha vissuto con una angoscia crescente quel periodo di quasi due mesi, perche sapeva di avere i giorni contati, sapeva di non poter contare più sul suo amico e collega di una vita, sapeva di non potersi fidare di nessuno nel palazzo, giá, nel palazzo di giustizia di Palermo, quel luogo deputato ad essere come ogni tribunale la casa della legalità per antonomasia, ma che si è trasformato, spesso insieme ad altri palazzi di potere siciliani e non, in una gabbia piena di vipere e doppi volti, collusi con la mafia.
Dalla vita e dalle indagini di uomini come Falcone e Borsellino dobbiamo trarne grande insegnamento e dobbiamo trasmettere, sin da subito, alle generazioni che verranno, chi erano e cosa hanno fatto per la nostra nazione e, quindi, per la loro terra “bellissima e disgraziata”, come diceva Paolo.
In quei 56 giorni, in quella agenda rossa sottratta dalla Croma blindata e quasi intatta all’interno e mai trovata, in quelle giornate lunghissime ma brevissime al tempo stesso di Paolo Borsellino, va capita e letta tutta la vicenda di una guerra, quella tra mafia e stato, culminata forse in un grande accordo nel quale pezzi deviati dello stato stesso hanno cercato di fermare una intensa attività investigative, portata avanti dall’intero pool antimafia, da uomini come Basile, Chinnici, Cassará, e tanti altri, morti per noi nel sacrificio eterno della lotta alla delinquenza.
Borsellino lo ha detto ricordando il suo amico Falcone – e credo che dobbiamo ripetercelo anche noi ogni giorno – che “la lotta alla mafia non doveva essere solamente una azione repressiva dello stato, ma bensì un movimento culturale e morale che poteva e doveva coinvolgere tutti”, a partire dalle nuove generazioni, quelle più adatte a sentire il fresco profumo della libertà, che si contrappone al puzzo del compromesso morale, della contiguità e quindi della complicità.
Sto scrivendo queste note in aereo, non ho rete, ma a memoria mi tornano in mente frammenti delle sue frasi come quella citata poco sopra, che ormai sono diventate le mie, le nostre, a furia di leggere libri su di loro, e di vederne bellissimi film sulle loro vite e sui loro angeli custodi.
Non dimenticheremo mai quei giorni, quella primavera/estate del ‘92 e fino al ‘93, perché sembrava l’inizio di una nuova grande guerra, nella quale vedere palazzi sventrati ed automobili incenerite sembrava all’ordine del giorno.
Ognuno di noi, rileggendo quei momenti, deve ricordare alla propria coscienza che siamo noi ad alimentare o meno le mafie con i nostri comportamenti quotidiani, quando lavoriamo, quando amministriamo la cosa pubblica, perché non si puó continuare a predicare bene e razzolare male in Italia.
Occorre dare seguito alle parole di Falcone, di Borsellino, e di tutti quanti coloro hanno perso la vita per la nostra libertà con i fatti, impegnandoci sempre al massimo in ogni cosa che facciamo, ma con i nostri mezzi, con le nostre battaglie civili, senza che nessuno ci metta i piedi in testa o riesca a tarpare i nostri sogni con la richiesta di mazzette e favori poco leciti.
Spesso si pensa che la mafia, anzi le mafie, siano un problema degli altri, una cosa che si vede alla tv o si legge sui media, ma non é così, perché i comportamenti mafiosi si manifestano ogni giorni ed ovunque, la gente ha fame, lo stato spesso stenta a dare risposte valide e veloci, e spesso certa politica in contiguità con la criminalità ornganizzata approfitta della situazione mettendo in atto i propri disegni criminali acquisendo consenso, e quindi creando lavoro facile magari accaparrandosi appalti o corrompendo figure istituzionali di vario livello.
Questo dicevano persone coraggiose e grandissime come Falcone e Borsellino, questo continuano a fare tanti magistrati onesti, e questo dobbiamo cercare di fare nella nostra vita quotidiana, vivendola in maniera limpida, pulita, senza maleodori e fetori di coscienza, lo dobbiamo a loro, ma anche a noi e a chi verrà dopo di noi.