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29 Mar

Penòzze lu nevaròle

L’industriale della neve, o come si direbbe oggi l’industriale del freddo, a San Giovanni, era Antonio Russo, da tutti conosciuto come “Penòzze lu nevaròle”.Uomo simpatico, ricco di iniziative, tipica figura di “tuttofare” ben nota nel paese, egli fabbricava la neve, cioè la raccoglieva nei depositi in montagna nella zona di Montenero, nelle “nevère”, qui la conservava fino all’estate, per poi venderla o lavorarla direttamente. Nel periodo invernale, dopo le nevicate, Penòzze si recava in montagna alle “nevère” di sua proprietà, grosse buche scavate nella roccia o nella terra, nelle zone più elevate dei monti sovrastanti il paese.

La neve veniva preparata a strati nelle buche, per la conservazione, ed ogni strato veniva ben pressato con il “paravìse” , con la base di legno di cm 60, munito di paletto centrale per l’impugnatura. Riempita così la “nevèra”, alla sua sommità veniva posto uno strato di paglia per la copertura e l’isolamento dal caldo e dai raggi del sole. In estate la neve veniva portata al paese a dorso dasino o di mulo, in “balle” (grossi sacchi di tela di circa mezzo quintale l’uno), alle prime luci dell’alba. Nell’Ottocento si effettuavano regolari appalti per la conservazione e commercializzazione, in base a un regolamento comunale. Giunta al paese, con piccoli convogli della neve trainati da due o tre bestie da soma, la bianca merce veniva posta nei depositi: seminterrati, freschi, con il pavimento di terra battuta [esempio: “lu purtòne la neve” su corso Regina Margherita]. Veniva, poi, effettuato il sopralluogo dell’ufficiale sanitario, che colorava ogni “balla” in rosso o in verde, secondo l’uso che se ne doveva fare. Veniva usata per tenere in fresco alimenti o bevande, o per confezionare gelati e simili.

A volte la neve era richiesta, con urgenza, per qualche ammalato, per porla sulla fronte al fine di far abbassare la febbre. In quest’ultimo caso, se c’era la stagione estiva e i depositi erano vuoti, Penòzze doveva correre in montagna per prelevare la preziosa merce. La neve, poi, richiesta d’estate dalle città di pianura, Foggia, Manfredonia, San Severo, veniva lì trasportata con carri che partivano la sera tardi da San Giovanni, per ovvi motivi. Ma non sempre il trasporto dalla “nevèra” al paese andava liscio: per la bizzarria delle bestie da soma, specialmente degli asini. Questi portavano appesa al collo una campana. Avvenne che un giorno all’insaputa di Penòzze, fu impiegata, per il convoglio del trasporto della neve, un’ asina in calore. Subito dopo il carico quest’asina, infastidita da un asino, scappò via per i sentieri di montagna inseguita dall’asino. Nel paese giunse un scampanellio continuato e rumoroso proveniente dalla montagna, di cui la gente non riusciva a capirne la provenienza. La capì quando vide giungere, galoppando e ragliando, l’asina e l’asino dietro, a breve distanza. Una parte della neve veniva lavorata, artigianalmente, direttamente da Antonio Russo, nel suo “sottano”. Confezionava “surbette” (granite), verde alla menta, rossa all’amarena, e poi all’arancia e al limone.

Confezionava anche del buon gelato, per quei tempi. Il suo lavoro artigianale incuriosiva i golosi ragazzi, che assistevano e aspettavano la fine della preparazione. Nel “tinozzo” di legno introduceva un “pozzetto” più piccolo, di rame stagnato e riempiva di neve l’interstizio tra il legno e il rame. Quindi introduceva nel “pozzetto” l’impasto per il gusto voluto, con una mano girava il cilindro, e con l’altra impugnava una spatola di legno, con la quale faceva rotare l’impasto coagulato con il freddo d’intorno. Da questo “laboratorio” del freddo, uscivano i migliori gelati del paese. Nelle strade cittadine girava Pinòzze e nelle feste e nelle fiere era sempre presente, con il suo tipico carrettino spinto a mano, carico di pasta da gelato, da confezionare all’istante, e delle famose bottigliette di gassosa con il tappo a pallina di vetro: che poi serviva per il gioco dei ragazzi.

Uomo spiritoso, Penòzze attirava la curiosità dei passanti con la solita arietta: “Gelate e gelatine ce refresckene li signorine se la pàcia inte la casa vulite truvà pure la socra avita fa refresckà” .(“Gelato e gelatino / si rinfrescano le signorine / se la pace in casa volete trovare / pure la suocera dovete far rinfrescare”).

Ripreso da: Articolo del “Pirgiamo”: AnnoVlll- N.2-Marzo-Aprile 1997 (Personaggi e mestieri del passato: il venditore di neve)Fonte bibliografica: M. Delli Muti, “Figure e mestieri tradizionali a San Giovanni Rotondo”.

Fonte https://www.facebook.com/profile.php?id=100086423486198

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