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25 Apr

Buon Natale 2021 dall’Arcivescovo p. Franco Moscone

23 Dicembre 2021
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«Pregiatissime Autorità civili e militari e rappresentanti delle Istituzioni,

sono contento di poter salutarvi nuovamente in presenza e di poterci scambiare gli auguri natalizi guardandoci in volto e stringendoci la mano. Le relazioni costruttive sono fatte di “fisicità”. E’ la “fisicità” che è capace di dare contenuto allo sguardo che si fa critico sulla situazione storica che viviamo, è la “fisicità” che dà calore ai sentimenti che nascono dal cuore e sollecitano la mente a cercare cammini di bene per tutti. Grazie allora di esserci e di poterci animare insieme e promettere che il nostro impegno e dovere è essere persone per gli altripersone per il nostro popolo. Si tratta di un popolo che ha una sua geografia, storia e cultura propria: unica per ricchezza e possibilità. E’ a questo popolo, che è in Gargano e Capitanata, da cui abbiamo ricevuto la chiamata al servizio dell’Autorità ed ottenuto la fiducia, è a questo popolo a cui dobbiamo mettere a disposizione, senza riservarci nulla per noi, i talenti e doni professionali di cui siamo portatori, per cui ci siamo preparati e su cui saremo giudicati dallo stesso popolo.

L’anno scorso non potemmo incontrarci a motivo delle misure strette di contrasto alla pandemia, che ancora preoccupa, ed allora ho cercato di raggiungervi facendovi dono del testo dell’enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti. Si tratta di un testo nato nella situazione di lockdown, di chiusura forzata, ma con l’intenzione di aprire all’autentica cultura della globalizzazione come fraternità ed amicizia sociale. E’ un testo prezioso per chi svolge un servizio pubblico in questo particolare tempo di cambiamento d’epoca e sconvolgimenti ambientali, sociali e di visione del mondo.

Un capitolo ci riguarda in modo particolare, il quinto, dal titolo La Migliore Politica. E’ un capitolo complesso quanto all’analisi, di provocazione nel linguaggio e propositivo nel contenuto: perché la politica non può essere solo marketing o peggio maquillage mediatico (FT 197), ma possedere uno sguardo ampio, realistico e pragmatico perché le Istituzioni siano veramente efficaci, creino inclusione ed abbattano ogni forma di esclusione o peggio di scarto.

Vi leggo il n. 154 che apre il capitolo citato: “Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire dai popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso”. Sono parole dallo sguardo universale, ma la loro applicazione può avvenire solamente nelle porzioni di territorio, cultura, società affidata ad ogni legittima Autorità. Per noi si tratta del territorio, società e cultura del nostro Gargano e Capitanata: è servendo questi con professionalità, cura, passione ed anche “devozione” che ci collabora a formare la globalizzazione del bene comune. Ho utilizzato “devozione”, perché è importante, per chi è chiamato al servizio dell’autorità, riconoscere che gli viene dato da altri un impegno, gli viene assegnata una responsabilità, gli viene garantita una stima e che quindi la deve onorare come qualcosa di “sacro”.

            La Migliore Politica, a cui fa appello il Papa, può essere sostenuta solo se i politici si impegnano ad essere i migliori servi della “cosa pubblica”.  Vi trascrivo parte dell’appello che don Tonino Bello rivolse ai politici del suo tempo rispondendo alla domanda quale dovrebbe essere la migliore definizione dei politici, e dando come immediata risposta: Operatori di pace. Il testo, scritto in linguaggio poetico, solo come lui sapeva fare, risale al 1986, ma mantiene tutta la sua modernità e stimolo, ve lo ripropongo perché la profezia, non ha tempo, ma dà sostanza al tempo e lo orienta al meglio, ne illumina passo dopo passo il cammino. Ecco l’appello di don Tonino lanciato il 19 gennaio 1986:

Ed eccoci al ruolo degli operatori di pace, cioè i politici: PORTARE OVUNQUE L’ACQUA DELLA PACE.

Sono i tecnici delle condutture, gli impiantisti delle reti idrauliche; gli esperti delle rubinetterie. E’ bene sottolineare una cosa: L’acqua è una: quella della pace. Le tecniche di conduzione, invece, cioè le mediazioni politiche, sono diverse. E diverse sono anche le ditte appaltatrici delle condutture. Ed è giusto che sia così. L’importante è che queste tecniche siano serie, intendano servire l’uomo e facciano giungere l’acqua agli utenti.

Senza inquinarla. Se lungo il percorso si introduce del veleno, non si serve la causa della pace.

Senza manipolarla. Se nell’acqua si inseriscono additivi chimici, magari a fin di bene, ma derivanti dalle proprie impostazioni ideologiche, non si serve la causa della pace.

Senza disperderla. Se lungo le tubature si aprono falle, per imperizia o per superficialità o per mancanza di studio o per difetti tecnici di fondo, non si serve la causa della pace.

Senza trattenerla. Se nei tecnici prevale il calcolo e si costruiscono le condutture in modo tale che vengano interessi di parte, e l’acqua, invece che diventare bene di tutti, viene fatta ristagnare per l’irrigazione dei propri appezzamenti, non si serve la causa della pace.

Senza accaparrarsela. Se gli esperti delle condutture si ritengono loro i padroni dell’acqua e non i ministri, i depositari incensurabili di questo bene di cui essi devono sentirsi solo i canalizzatori, non si serve la causa della pace.

Senza farsela pagare. Se i titolari della rete idrica si servono delle loro strumentazioni per razionare astutamente le dosi e schiavizzare la gente prendendola per sete, non si serve la causa della pace.

Si serve la causa della pace quando l’impegno appassionato dei politici sarà rivolto a che le città vengano allagate di giustizia, le case siano sommerse da fiumi di rettitudine e le strade cedano sotto una alluvione di solidarietà, secondo quello splendido versetto del profeta Amos (Am 5, 24): ‘fate in modo che il diritto scorra come acqua di sorgente, e la giustizia come un torrente sempre in piena’.

Le parole del Venerabile servo di Dio Vescovo di Molfetta sono un forte monito per tutti noi chiamati al servizio dell’autorità ed a costruire la polis oggi in una società globalizzata ed in un mondo sfregiato dai cambiamenti climatici, indotti a sbagliate ed egoistiche scelte politiche, e flagellato dal dramma della pandemia. E’ un monito che tocca le nostre persone, certi che renderemo il servizio alla migliore politica all’unica condizione di migliorare noi stessi, il nostro modo di pensare ed argomentare, il nostro sentire e costruire alleanze, le nostre scelte rispettose del territorio e del suo popolo.

Permettetemi solo di aggiungere, continuando con l’immagine dell’acqua della pace, come metafora dell’impegno politico, un’osservazione. L’acqua per essere trasportata e distribuita in modo eguale, democratico, a tutti deve provenire da falde e pozzi non inquinati, ma rispettati, custoditi e continuamente mantenuti in efficienza. Ebbene, a mio vedere, tre sono i pozzi che alimentano il nostro Gargano.

Il primo è, per così dire, a cielo aperto: è l’ambiente naturale e culturale in cui viviamo e di cui siamo coltivatori e custodi. Si tratta della prima ricchezza, splendente, percepibile con evidenza immediata, invidiata da chi ci fa visita. La materia prima della nostra politica economica è il nostro ambiente, patrimonio diventato universale, riconosciuto come un tesoro di inestimabile ricchezza. Ogni ferita che gli si infligge è un inquinarne le acque, è un atto di violenza alla natura ed alla gente, è una forma di guerra non dichiarata ma combattuta da fazioni criminali, è un minare le basi per il futuro delle giovani generazioni rendendo difficilissimo e costosissimo lo “sminamento”.

Il secondo pozzo, questa volta da scavare con ingegno e generosità, è il lavoro. Il lavoro non arriva a caso o per semplice ricaduta di azioni pseudo produttive. Il lavoro va pensato, programmato con efficienza e scienza, va favorito da scelte che investono rispettando e costruendo armonia col territorio e la sua storia. Il primo compito della politica è scavare pozzi di lavoro autentico creando le condizioni perché crescano e si moltiplichino imprese serie, creative amanti della città.

Il terzo pozzo sono le periferie. Potrebbe sembrare strano, ma credo sia proprio così. Le falde sane e ricche d’acque pure non stanno al centro, dove la popolazione si ammassa, ma lontano, nelle periferie. Rivalutare le periferie e chi in periferia ci vive, magari con stenti e difficoltà, significa sanare e produrre futuro, impedire fughe e desertificazione, portare bellezza e rispetto dove sembra regnare il degrado e l’ingiustizia.

Irrighiamo dunque attingendo dai tre pozzi ricchi d’acque fresche e generanti pace, ricordandoci che come la monocultura rovina l’ambiente ed impoverisce l’ecosistema biologico, così la mono-economia e la politica-desueta rovinano ed impoveriscono la società di riferimento, appiattiscono la vita sociale allargando la forbice tra ricchi e poveri, tra chi esercita l’autorità e chi la subisce, distruggono il “ceto medio” e bloccano quello che si chiama “ascensore sociale”. Il Gargano ha bisogno di rispetto della bio-diversità, di promozione di una multi-economia, della Migliore Politica capaci di sviluppare tutte le sue potenzialità che gli offrono il mare, la terra e la millenaria cultura. Il Gargano ha bisogno che si combatta la tendenza a omologare tutto, confondendo uniformità con libertà, ha bisogno di cultura della legalità che educa a relazioni responsabili ed educanti, ha bisogno di ridare ai suoi giovani la certezza che qui, non altrove, c’è possibilità di futuro e sviluppo sostenibile.

Concludo con una citazione di un altro profeta del secolo passato, slogan per ogni buon servitore della cosa-pubblica: “ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia” (Don Milani).

Buon Natale!»

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