Analisi e report del sondaggio OSEA sui sangiovannesi fuori sede
“Torno subito” è il sondaggio di OSEA – Osservatorio Società Economia Ambiente rivolto ai sangiovannesi fuori sede per restituire alla città un quadro (per quanto parziale e non esaustivo) della situazione delle proprie risorse umane che vivono e lavorano stabilmente fuori provincia (limite oltre il quale è stata stabilita, ai fini dell‘indagine, la qualifica di fuori sede).
Il sondaggio, svoltosi per tutto il mese di febbraio 2021, ha incassato 154 risposte (65 donne, 87 uomini, 2 anonimi). Report grafico e analisi dei dati qui di seguito.
I partecipanti hanno restituito alla città una maggiore consapevolezza del fenomeno del lavoro fuori sede. Il primo dato significativo è che, a differenza dei flussi migratori dei secoli precedenti, ad andare (e restar) via sono in larga misura giovani professionisti, spesso iperqualificati. Sarebbe quantomai opportuno provare a generare una rete virtuosa che metta in connessione competenze ed esperienze acquisite dai fuori sede e la propria città d’origine.
Tra i 154 fuorisede partecipanti al sondaggio, la stragrande maggioranza è composta da laureati e masterizzati. Tra questi circa l‘80% lavora come dipendente presso aziende o altri professionisti. Meno del 20% è composto da imprenditori e liberi professionisti. Tra i primi spiccano docenti ed educatori, a cui seguono manager, ingegneri e operatori sanitari. Tra i liberi professionisti la quasi totalità è composta da consulenti, a cui seguono le “partite IVA” freelance.
– 34 partecipanti su 154 lavorano fuori da meno di 5 anni.
– 31 da un periodo compreso tra i 5 e i 10 anni.
– I restanti 89 da oltre 10 anni.
23 persone (15%) lavorano all’estero. Le restanti 131 in Italia. Emilia Romagna (20%) e Lombardia (18%) le regioni che ospitano la stragrande maggioranza di questi. Segue il Lazio (13%). Poi, in percentuali molto più basse lealtre regioni.
La fascia dai 30 ai 39 anni è quella maggiormente disposta a tornare a lavorare nella sua città d’origine in modalità “smart working” anche solo per un periodo di tempo limitato. Per gli over 40 il dato è meno significativo ed è riconducibile al fatto che, in larga misura, hanno messo radici più profonde nelle città ospitanti (tra cui la formazione della propria famiglia). La fascia d’età più giovane, quella dai 20 ai 29 anni, è invece quella meno propensa al ritorno a San Giovanni Rotondo, dovuto in parte al fatto di essere nella fase iniziale della propria esperienza lavorativa ed in parte al fatto che solo un terzo degli intervistati di questa fascia d’età avrebbe l’opportunità di lavorare in remoto.
In valori assoluti, il maggior numero di persone che reputa soddisfacente il proprio lavoro risiede nelle regioni che sono maggiormente rappresentate nel nostro sondaggio, dato non in contrasto con la possibilità di una qualche forma di lavoro da remoto, risultata relativamente alta (70%).
Fattori che trattengono nella città ospitante e che impediscono o limitano fortemente la possibilità di rientrare sono le maggiori opportunità e migliori condizioni di lavoro, la possibilità di crescita professionale e le numerose occasioni di svago.
Ciononostante è fortissimo il richiamo alla propria “terra”: Il 67% di coloro che hanno un contratto full-time sarebbero disposti a stabilirsi a San Giovanni Rotondo per lavorare da remoto anche solo un mese all’anno, seguiti dal 60% dei part-time. Chiudono i freelance e i contratti a progetto con il 55% e il 50%. Tra i fattori che spingerebbero a tornare, in primis, gli affetti.
Solo il 20% degli intervistati ha risposto alla domanda aperta che invitava a delineare specifiche progettualità per accorciare le distanza tra città ospitante e città d’origine.
Tra le risposte pervenute emergono i seguenti temi:
– Cambio mentalità che faccia leva su meritocrazia e uno spirito imprenditoriale più maturo, in grado di valorizzare e mettere a sistema risorse umane e risorse territoriali;
– visone del territorio allargata e relative strategie di economia circolare;
– investimenti adeguati su politiche territoriali e politiche giovanili (formare, valorizzare e quindi non sfruttare talenti, anche in chiave di drenaggio alla “fuga”);
– creare infrastrutture (citato più volte il concetto di coworking) in grado di favorire relazioni e reti professionali e diventare hub non solo di competenze, ma anche di idee (che chi vive fuori potrebbe condividere, sapendo di trovarsi nel luogo giusto);
– più servizi e attività legate a sport, cultura, tempo libero.
Report grafico e analisi dei dati qui di seguito.