di Michele Illiceto
Riflessioni in margine alla Lettera pastorale di Mons. Luigi Renna (II parte)(Link alla prima parte: http://sangiovannirotondofree.it/2018/10/12/adulti-takers-o-givers/ )
Essere adulti significa saper affrontare le sfide del nostro tempo, i cambiamenti in atto. Non necessariamente avere le soluzioni, ma essere attrezzati per poter escogitare, confrontandosi con gli altri, da un lato senza troppo dipendere dal giudizio e dalle opinioni altrui, dall’altro senza pensare presuntuosamente di potercela fare da soli in modo autoreferenziale. Tutte le agenzie educative – scuola, famiglia., parrocchie, associazioni – sanno che nessuno orami può più educare da solo nell’attuale società definita dagli studiosi “complessa” (Niklas Luhman), “a rischio” (Ulrich Beck) “liquida”, caratterizzata dalla “incertezza” (Zygmunt Bauman).
In questo contesto è facile rinunciare, voltarsi dall’altra parte, o delegare o fare a scarica barile. Il vero adulto non nasconde la testa sotto la sabbia. Non rinuncia, ma si organizza. Non abdica, ma osa. Anche a rischio di sbagliare, di perdere. Di rimetterci la faccia, pagando di persona. Come tante figure bibliche che hanno saputo viere la loro adultità sfidando innumerevoli e impreviste avversità.
Ed è a questo punto che Mons. Renna individua una prima icona biblica quale modello di una adultità generativa e non per nulla remissiva, che ha saputo essere all’altezza delle sfide del proprio tempo. Si tratta di Barnaba, un lèvita di Cipro convertito al cristianesimo, una delle figure chiavi della prima comunità cristiana di cui si narra negli Atti degli apostoli. In che modo questa figura biblica del N. T. è generativa nel senso postmoderno?
In primo luogo, scrive il vescovo Renna, Barnaba è “un uomo docile allo Spirito” (Ivi, p. 17), cioè ha una profonda vita spirituale che – da credente – nutre la propria saggezza alla Parola, lasciandosi guidare da essa nelle sue scelte. Per un adulto non credente cambia la fonte ma non la necessità di nutrirsi di pensiero e di riflessione per diventare saggi nelle relazioni e nelle scelte. A questo livello, Barnaba rappresenta la necessità, per un adulto di oggi, di pensare, di porsi domande per capire, per uscire dal banalità imperante, per non improvvisare o banalmente seguire le mode dominanti; per non farsi manipolare e dover cambiare idea al primo ostacolo o davanti ad un fallimento.
Barnaba ha saputo ritagliarsi un luogo dentro di sé dove potersi raccogliere e mettere in ordine tutto ciò che gli proviene dal mondo esterno. Qui può ascoltare la voce della propria coscienza, o kantiamente parlando, avvertire la presenza di quella “legge morale” che, tra tante voci suadenti, gli indica qual è il vero bene da realizzare per se stesso e per gli altri. “La sua statura di apostolo – scrive Mons. Renna – dipende da questa profondità di vita spirituale che, come un fiume carsico, emerge nelle sue azioni caritative ed apostoliche. Il segreto della nostra generatività sta nella nostra…apertura alla trascendenza” (Ivi, pp. 17-18). E la trascendenza, intesa anche in senso laico, è la capacità di andare otre il proprio io. Oltre il proprio narcisismo.
Non per nulla, una seconda qualità che fa di Barnaba un “adulto generativo” è che si mostra “generoso verso i fratelli, buono”. L’adulto è l’uomo delle scelte ma anche delle rinunce. Sa decentrarsi e sa vivere la logica del donarsi. Lotta per il Bene sapendo che il proprio bene include sempre anche quello degli altri.
Usando due categorie care al filosofo danese Kierkegaard, possiamo dire che l’adulto si comporta più da uomo “etico” che sceglie il bene, anche se a volte costa, piuttosto che da uomo “estetico” che fa qualcosa per emozionarsi e autogratificarsi.
“In questo aggettivo – chiarisce il presule di Cerignola – è racchiusa la ricchezza delle sue qualità morali, ma soprattutto la modalità con cui si relaziona agli altri. Chi è buono è accogliente, non è centrato su sé stesso, è capace di vedere il bene anche negli altri, è disposto a perdonare, a muoversi verso l’altro con gentilezza. La bontà di Barnaba è un tutt’uno con la sua docilità allo Spirito e alla fede, perché quale sarebbe il frutto autentico della vita spirituale se non la bontà d’animo?” (Ivi, p. 18).
In un tempo in cui chi è buono viene accusato di “buonismo”, è difficile essere buoni e generosi. In giro ci sono sempre più adulti che scelgono di non essere buoni più per paura che per convinzione, più per pigrizia che per convenienza. E alla fine è il cinismo a prevalere rispetto invece a quelle prassi ispirate a logiche di profondo e autentico altruismo.
La bontà è solo di chi si è lasciato rigenerare dentro: se è credente si lascia rigenerare dalla Parola, se è laico dalla ragione. La bontà è scomoda, non dà risultati immediati. I frutti della sua semina esigono tempo e molta pazienza mista a perseveranza, fedeltà e coerenza. Unita anche a incomprensioni e piccole sconfitte. Tutte virtù che gli adulti di oggi non hanno più e che, paradossalmente, con una velata ipocrisia pretendono dai giovani.
Ecco che cosa manca oggi agli adulti: mancano le virtù. E mancano perché esse esigono uno stile di vita che sia capace di andare controcorrente, e una forza d’animo che non si improvvisa, ma che si matura con il tempo, che è il frutto di tante scelte fatte quotidianamente. Scelte di resistenza, che reiterate nel tempo diventano “habitus”. Solo che per averle è necessario l’esercizio dell’autodominio che rende una persona equilibrata, di buon senso. Appunto: matura e quindi adulta.
Al contrario, nell’attuale fase di “capitalismo edonistico” (come lo ha chiamato Recalcati), oggi negli adulti domina l’onanismo affettivo, poiché imperversa un nuovo imperativo categorico che se, da un lato, dice: “Godi!”, dall’altro sentenzia dicendo: “Vietato soffrire!”.
In questa adolescenza di massa, ci troviamo in definitiva davanti ad “adulti-adolescenti”, che, nel mercato del divertimento e dei sentimenti mercificati, competono con i giovani perseguendo il mito dell’autoreferenzialità e del giovanilismo a tutti i costi, al solo scopo di sentirsi sempiterni.
Ma come possono adulti adolescenti chiedere ai propri adolescenti di diventare adulti? Paradosso educativo che sta paralizzando tutti i canali di sì trasmissione, dalla famiglia alla scuola, fino ad arrivare anche alle parrocchie.
Un’altra virtù che secondo il vescovo Renna Barnaba risulta un adulto generativo l conmsiste nel fatto che egli ha sempre uno “sguardo positivo […] Non si ritiene il detentore della sapienza e della grazia, ma la sa riconoscere negli altri” (Ivi, pp. 18-19).
Quanti adulti pensano di avere l’esclusiva su certe questioni? Adulti che non sanno fare un passo indietro, permettendo ad altri di fare meglio di loro, se a causa loro alcuni processi si sono inceppati. Adulti che pensano di essere indispensabili. Insomma: adulti che non sanno accettare il momento in cui gli viene chiesto di uscire di scena. O che non accettano che nella vita prima o poi arriva il momento del distacco. In fondo, la nostra è una società gerontocratica, dove adulti che si credono eterni non sanno accettare che il loro tramonto sia il grembo di una nuova alba che dia spazio alle nuove generazioni.
Accanto a questa virtù un’altra qualità di Barnaba che il vescovo sottolinea è la sua “attitudine al discernimento, a saper cogliere il tempo opportuno” (Ivi). Un adulto che non sa capire i cambiamenti è costretto a subirli. Piuttosto che cambiare, si trova cambiato. A Barnaba manca quel carattere di ”acidità” che Renna individua in tanti adulti che frequentano le nostre comunità religiosi e laiche: “gente sempre scontenta, poco accogliente e propensa a ringraziare, che non riconosce mai il bene dell’altro, che sta sempre a giudicare, che ha paura di passare il testimone di un incarico perché si sente indispensabile. Barnaba vede il bene e lo promuove, come quei cristiani che sono uomini e donne di dialogo, che sanno scoprire frammenti di verità e semi del Logos, come diceva Clemente Alessandrino, in ogni cultura” (Ivi, p. 19).
Da ultimo Barnaba è l’adulto che sa accogliere. Verbo scomodo, ma potente, Profetico e gravido di futuro. Egli accoglie Saulo, il nemico numero uno dei cristiani. Colui che aveva ucciso Stefano il protomartire. In questa fase Saulo è il solitario, il nemico, l’estraneo. Il “diverso” per eccellenza, sul quale come dice Renna, era “oberato dallo sguardo pieno di pregiudizi della comunità che aveva prima perseguitato” (Ivi, p. 19). Per Renna, Barnaba è l’adulto che si mostra “capace di integrarlo, di portarlo con sé, di fare squadra”.
Da come sono andate le cose dopo, possiamo dire che in fondo è grazie a Barnaba che Paolo diventerà il più grande apostolo delle genti di sempre.
Ed ecco qui il punto più alto della generatività di un adulto: generare uno che sai già fin d’ora che sarà migliore di te. Uno che ti supererà. Perché, quando generi amando, appunto da adulto, non hai paura di perdere il primo posto. Non temi che qulcun’altro ti tolga la scena.
La sfida che renna lancia a questo punto è molto chiara: “Come vorremmo che nelle nostre comunità si condividesse questo stile di docilità allo Spirito, di fede, di bontà, di promozione dell’altro e di accompagnamento! Sono le persone come Barnaba che rendono vive e generative le nostre comunità” (Ivi, p. 20).
Adulti generativi sono quegli adulti che sanno essere costruttori di comunità. Forse è questo che ci vanno chiedendo le nuove generazioni. E forse non è neanche troppo tardi per cominciare a farlo. (Continua…..).