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23 Apr

Il Chaplin del calcio. Il mito di Garrincha a Teatro

Articolo di Christian Palladino

Interessantissima serata di Teatro ieri in via Cocle a San Giovanni Rotondo, sede dell’Associazione Provocult, in cui l’attore ventenne Umberto J. Contini di Foggia, si è cimentato nella scrittura, regia e interpretazione della straordinaria vita di uno dei più grandi calciatori della storia calcistica brasiliana e mondiale: Manoel Francisco dos Santos, meglio noto come Garrincha.

Non conoscevo la vicenda professionale e privata del talento brasiliano, non ho mai approfondito la la storia del calcio anteriore agli anni ’90 e i miei miti partono da Maradona, il trio olandese rossonero, Schillaci, Baggio, Del Piero, Totti, Weah ecc. pur conoscendo i nomi illustri del passato che hanno reso famoso lo sport del rettangolo verde. Una riflessione post spettacolo mi ha portato a pensare di come oggi un calciatore con quelle menomazioni fisiche non avrebbe potuto, quasi sicuramente, accedere alla pratica calcistica. Pian piano il profilo del giocatore di pallone è cambiato negli anni, il fisico “perfetto”, la forma e l’atletismo non possono prescindere da questa figura professionale, forse a ragione o probabilmente a torto. Se fosse stato da sempre così non avremmo avuto il Re del dribbling, come è conosciuto in tutto il mondo Garrincha. Lui, l’Angelo dalle gambe storte, lo storpio: aveva un leggero strabismo, la spina dorsale deformata, uno sbilanciamento del bacino, sei centimetri di differenza in lunghezza tra le gambe; il ginocchio destro fu affetto da valgismo mentre il sinistro da varismo, poliomelite. Ma gli anni erano diversi e il suo estro, la sua velocità, la sua musica nel sangue erano ingredienti fondamentali che gli hanno permesso di toccare il tetto del mondo. Una frase ricorrente nella messa in scena è stata: “il mio obiettivo non erano i soldi ma semplicemente giocare a calcio”. Non sarebbe mai riuscito ad alzarsi presto la mattina per andare in un ufficio o in fabbrica ma non avrebbe dormito la notte se avesse avuto un appuntamento con il pallone. Non il guadagno, non i cruzeiro erano la meta, ma quella sfera che racchiude, a volte, il senso di un popolo, il riscatto di un popolo, la Alegria do Povo. Anche se, come la sorte vuole, spesso, lo stesso denaro è stato il motivo della sua caduta tra alcol, spese giudiziarie e donne fino a portarlo al decesso, in un letto di ospedale, nella miseria più totale.

Umberto Contini, ha ricostruito i momenti salienti di questa vita straordinaria immaginando un intervista che Garrincha, realmente, avrebbe voluto fare ma che poi non è riuscito a tenere a causa del sopraggiungere della morte. Il pubblico, trasformato in un gruppo di giornalisti, è stato invitato a porgere delle domande all’attore in scena, raffigurante il campione brasiliano, il quale attraverso le risposte ha dipinto l’affresco dell’inizio e della fine come uomo e calciatore di Mané Garrincha. Una triste ma magica storia, come spesso accade, un ragazzo di periferia che riesce a raggiungere la vetta

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