Articolo di Alberto Pietroboni
Il 14 ottobre 1920 San Giovanni Rotondo fu teatro di un grave fatto di sangue.
Ebbe luogo un eccidio: quattordici morti, ottanta feriti.
Un episodio che ha segnato profondamente la storia politica e sociale della cittadina garganica. Ma come spesso avviene con la storia passata quel grave e triste episodio viene dimenticato, sconosciuto alle future generazioni.
Ecco la cronaca di quel 14 Ottobre 1920.
Era il giorno dell’insediamento in Municipio dei socialisti che avevano vinto (1069 voti contro 850) contro una coalizione – composta da fascisti, popolari, combattenti, liberali, sostenuta dai grandi e piccoli proprietari del luogo denominata Fascio d’ordine.
Per il timore di sommosse confluirono in paese 40 carabinieri e 82 soldati.
Per l’insediamento del Consiglio comunale, i Socialisti vittoriosi organizzarono un corteo. È una mattina di sole. Un corteo di oltre seicento persone, compresi donne e ragazzini, percorre il paese con bandiere rosse e canti accompagnato dalla banda musicale di San Marco in Lamis. Sembra una giornata di festa.
Il corteo fece il giro della città per due volte, senza incidenti.
La situazione precipitò quando la dimostrazione giunse davanti al Municipio. Dove si erano radunati altri cittadini e politici, popolari e fascisti, i quali già dal 3 ottobre, giorno delle votazioni, protestavano e non riconoscevano la vittoria ai socialisti. Insomma il clima era teso, tanti erano stati gli episodi che avevano reso gli animi incandescenti.
La forte tensione nacque a causa della volontà di esporre la bandiera rossa dal balcone del Municipio cui si contrapposero fascisti e popolari.
Il commissario Pevere che dirigeva il servizio d’ordine si opponeva che i socialisti, nel prendere possesso del municipio, esponessero la bandiera rossa dal balcone dell’edificio, perché diceva, sarebbe stata un’offesa alla patria e alla bandiera nazionale. D’altro canto gli “arditi di Cristo”, erano decisi anch’essi a impedire l’esposizione della bandiera rossa. Da essi partirono oltraggi e insulti ai dimostranti.
Varie furono le mediazioni nel corso della mattinata tra le forze dell’ordine ed i dirigenti socialisti, Di Maggio e Tamburrano.
“Dal balcone, l’eligendo Sindaco, l’esponente socialista Avv. Luigi Tamburrano, e il consigliere provinciale Di Maggio arringarono la folla esortandola a proseguire verso la lega per evitare che salisse nel palazzo municipale.”
I Socialisti in un primo momento non cedettero alle provocazioni e, sollecitati dai propri dirigenti, si stavano avviando verso la loro sede in piazza degli Olmi, con l’intento di rinviare l’insediamento. Alcuni cittadini, osservando il corteo pensarono che le cose stessero volgendo al meglio.
I fascisti ed i popolari non soddisfatti del tutto, continuarono ad aizzare gli animi dei socialisti, colpendoli nell’orgoglio. Passò la parola tra i socialisti che bisognava entrare nel Municipio e compiere fino in fondo il gesto programmato: issare la bandiera rossa. Una parte del corteo tornò indietro con l’intenzione di entrare nel Municipio. A quel punto fu inevitabile lo scontro con le forze dell’ordine, che bloccavano l’ingresso del Municipio.
Dalla folla allora una donna, fattasi ardita più degli arditi, prese la bandiera
rossa e cercò di farsi avanti. Cominciarono così i tafferugli.
La maggior parte dei socialisti, presenti al corteo, non prese parte allo scontro.
Il numero alto delle vittime e di feriti, molti estranei al movimento socialista, soprattutto passanti e curiosi, ci fa supporre che la reazione armata dei militari avvenne in maniera rapida e violenta.
«La folla mi spingeva contro il portone del Palazzo Municipale quando senti spari di fucile alla mia destra. Altri spari si seguirono ai primi sempre dallo stesso lato e poi ebbi la sensazione che si sparasse anche dai balconi municipali ove erano stati messi dei carabinieri.
Un triste ed orrendo spettacolo si offrì ai miei occhi, la piazza era seminata di caduti e mentre alcuni si sollevavano per scappare essendo solo feriti, altri rimanevano a terra perché morti»
Il bilancio fu drammatico. Quattordici morti: Cassano Giovanni, contadino; Centra Donato, artigiano; Fiore Michele, contadino; Gorgoglione Paolo, pastore; Grifa Francesco, contadino; Masciale Michele, contadino; Miglionico Maria, casalinga; Pannelli Michele, contadino; Ritrovato Michele, contadino; Santoro Antonio, contadino; Santoro Giuseppe, contadino; Siena Giovanni, contadino; Tortorelli Filomena, casalinga; Imbriani Vito, carabiniere.
Foto : Ciro Marino
Fonti e spunti :
– dal libro “Quella voce fucilata nella piazza” di Antonio Tedesco
– l’eccidio dimenticato di Angelo Rossi