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08 Dec

San Giovanni Rotondo è una bella città?

di Michele Del Grosso

È difficile mantenere un certo grado di imparzialità quando sei chiamato a parlare del posto e delle strade in cui sei nato, cresciuto, avuto amicizie, ti sei innamorato. Beh insomma, chi non assume un filtro di sentimentalismo di fronte alle proprie radici? Il tentativo che farò sarà proprio quello di svestirmi di questo filtro e puntare l’obbiettivo su quello che funziona e non funziona di questa città, sui suoi quartieri, le sue piazze, e la sua gente, soffermandomi talvolta sull’aspetto urbanistico-architettonico che è quello che più mi compete.

Giungo a San Giovanni Rotondo nel tardo pomeriggio provenendo da Foggia. Il paese non lo vedi quasi mai fino all’ultimo momento. Poi d’un colpo curvi leggermente a sinistra e scollini all’altezza del “tuppo”. A quel punto, quasi come un sipario di un teatro, si apre pian piano la vista sulla città, adagiata nella sua valle. Quest’ingresso all’abitato è come un invito e trasmette una sensazione di accoglienza. Da qui San Giovanni sembra una cartolina. Percorro via Foggia seguendola con lo sguardo e mi rendo conto che questa strada è come un immenso cannocchiale che convoglia le attenzioni su uno dei fulcri del centro abitato: la chiesa madre e la prospiciente piazza Padre Pio. Nella storia dell’urbanistica ci sono state città che hanno dovuto abbattere interi quartieri per ottenere vedute del genere, e per questo motivo, grazie a miei studi, ho imparato ad apprezzare tantissimo questo angolo di San Giovanni. C’è un momento però, mentre sono fermo al semaforo all’altezza di Corso Roma, in cui il mio sguardo lascia la prospettiva di via Foggia per imbattersi in tre grossi scheletri di cemento armato in costruzione da sempre. Dovevano essere tre grandi alberghi, sono diventati l’emblema di una città che ha scommesso forse troppo ed esclusivamente su una facile idea di guadagno. Quasi come un monito sono visibili da diversi punti della città. Mi lascio alle spalle l’immagine spettrale dei “tre cantieri” e con essa anche le zone più periferiche dell’abitato.

Decido di lasciare l’auto nei pressi della chiesa di Sant’Onofrio e di fare due passi a piedi. Sarà che ho frequentato questa zona nella mia infanzia e oltre, ma qui mi sento sempre come a casa. Osservo la semplice facciata della chiesa, architettonicamente molto rilevante, e penso con orgoglio di trovarmi in uno dei luoghi più ricchi di storia del paese. Pare che la costruzione della chiesa possa essere legata in qualche modo alla volontà di Federico II (uno qualunque insomma); poco più in là intravedo la “rotonda”, la chiesa di San Giovanni Battista che ha dato il nome a questo paese. Da poco è stata restaurata, ma purtroppo la vedo quasi sempre chiusa. Provo rabbia nel pensare che di questo passo i soldi ben spesi per recuperarla andranno in fumo a causa di una cattiva gestione del bene. Vengo distratto da alcuni schiamazzi provenienti da qualche isolato più in là. Sono dei ragazzini che giocano a calcio in strada e sorrido al pensiero che per fortuna, questo posto, ha anche queste ricchezze.

Continuo nella mia passeggiata e mi dirigo verso Piazza Padre Pio. Personalmente ritengo ineguagliabile la veduta che si ha della piazza all’altezza del Bar degli Olmi. La chiesa Madre e il suo campanile, la statua di Padre Pio, i monti e la fontana, oggi quasi sempre spenta. Imbocco Corso Umberto I. Ogni volta che percorro questa strada mi torna in mente l’eterno dibattito circa la trasformazione da essa subita. Ancora oggi, nei circoli di incontro e nelle case dei sangiovannesi, sono molte le voci di coloro che rimpiangono gli alberi che qualche anno fa erano innanzi al municipio, in piazza dei Martiri. Io tendo a non disprezzare l’attuale aspetto, molto elegante, di Corso Umberto I e della piazza; allo stesso tempo però, sostengo che è stato snaturato l’originale carattere del luogo. Se un tempo la presenza degli alberi e di panchine favoriva la sosta e quindi l’incontro e la socializzazione, oggi, specie nel periodo estivo, la piazza è vuota e poco vissuta. Con questi pensieri continuo sul corso fino a giungere lì dove gli edifici si defilano curvando leggermente, permettendo così di abbracciare con un unico sguardo il verde della villa e il profilo dei monti.

Mi fermo qualche minuto per un caffè prima di continuare. Prossima tappa è il centro storico, ahimè il centro storico. Quando oggi mi domandano cosa manca di più al mio paese, la risposta è: il centro storico. Mi addentro in esso partendo da Corso Regina Margherita. Percorrere a piedi questa strada è sempre un’impresa e generalmente si impiega più tempo del necessario. Le macchine parcheggiate a fil di edificio aggiunte a quelle in transito non permettono alcuna passeggiata, e ogni volta sei costretto a sostare su mezzo metro di marciapiede in attesa che passi l’autovettura di turno. Il risultato è che quasi nessuno percorre Corso Regina Margherita a piedi quando invece dovrebbe essere, a mio parere, una delle strade rappresentative del borgo antico. Almeno nelle ore serali una corretta limitazione del traffico dovrebbe permettere il passeggio su questa strada.

Svolto su Via Pirgiano e la percorro in salita fino a giungere in Piazza Santa Maria De Mattias (nota come “largo delle Monache”) con l’annesso ex-ospedale di San Francesco. La piazza ha assunto una nuova luce grazie a recenti restauri e penso tra me e me che questo dovrebbe essere l’esempio da seguire.

 

Proseguo su Vicolo curvo e mi trovo davanti uno degli angoli più caratteristici del centro storico, la piazzetta in cui domina la torre quadrangolare (sec. XII-XII), architettonicamente la più significativa delle poche rimaste (in origine erano 15 poste sul perimetro del centro storico). In antichità questa torre ospitava la più importante porta di accesso (oggi murata) alla città. Una foto è d’obbligo. Durante la passeggiata vedo che ci sono alcuni bei locali in cui ho portato a volte degli amici (rimasti molto contenti). Penso che è un bene, ma è troppo poco per rendere vivo il centro storico.

 

 

Continuo su Via Sant’Orsola raggiungendo l’omonima chiesa, oggettivamente di gran valore. Risale al XVI-XVII secolo ed è certamente l’architettura più rilevante di San Giovanni Rotondo pur non godendo della fama che meriterebbe. Continuo la discesa su Via Cocle. Questa strada, molto corta, è una delle mie preferite. Se non l’avete mai percorsa vi consiglio di farlo, possibilmente di sera. Scendendo da Sant’Orsola lo stretto vicolo devia leggermente a sinistra e regala d’improvviso una vista inedita sul campanile della chiesa Madre perfettamente allineato con essa. Sicuramente esso vi apparirà come se fosse più alto e imponente di quel che realmente è, ma ciò è dovuto alle proporzioni ridotte di quello che vi circonda, ovvero un vicolo molto stretto e case basse.

 

Mi ritrovo nuovamente in Piazza Padre Pio mentre si fa più intenso l’odore tipico dei camini accesi. La sensazione è sempre la stessa. Penso alla grande disparità che esiste tra il potenziale di quello che abbiamo e il reale valore che oggi possiede. Ho visitato molti paesi del barese. Li i centri storici sono trattati come il salotto urbano, il fiore all’occhiello. Gente che passeggia, locali brulicanti, negozi, e strade e piazze cariche di vita. Quando si esce, si esce nel centro storico. Quando porti un amico a far vedere il meglio della tua città, lo porti nel centro storico. È un vero punto di riferimento e i cittadini si riconoscono orgogliosamente in esso, difendendolo ed esaltandolo. Questo a noi manca tanto, troppo, e il nostro centro storico continua a essere una periferia nel cuore della città. Così finiamo a non sapere come passare le serate, a rinchiuderci sempre negli stessi bar/pub e ad esclamare con rassegnazione: “A San Giovanni non c’è niente!”. Purtroppo è un circolo vizioso.

E quindi, in fin dei conti, San Giovanni Rotondo è una bella città?

La risposta ce l’ha ognuno di voi, di noi. La questione è troppo soggettiva e non a caso, nella scrittura, non ho mai usato il termine “bello” proprio per non esprimere alcun giudizio. Su un aspetto però voglio sbilanciarmi. Non esiste niente di più BELLO e potente di cittadini innamorati della propria città. Questo è il primo passo, questa è la chiave.

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