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22 Nov

Il paziente e il diritto di sapere: il consenso informato

Di Nicola Morcaldi

Fino a qualche decennio fa il rapporto tra medico e paziente era basato prevalentemente su un’etica medica di tipo paternalistico.

Dal giuramento di Ippocrate, infatti, la scienza medica si è sempre retta esclusivamente sul presupposto secondo il quale solo il medico possedeva le competenze teoriche e pratiche necessarie per decidere in favore del paziente.

Tuttavia seppur ciò è da ritenere in parte vero, al contrario ben altra cosa era operare delle scelte senza il consenso del paziente, in violazione di quella che è la sua autonomia e libertà di scelta.

Come è facile intuire si è sempre trattato quindi di un rapporto “a senso unico” nel quale il paziente si affidava “totalmente” al medico il quale decideva secondo quella che riteneva essere la miglior scelta (cura) per il bene del diretto interessato.

Tra l’altro, la situazione in cui versava la società porgeva agevolmente la guancia, per così dire, a questa consuetudine. A causa della disparità di istruzione tra chi poteva permettersi un determinato percorso di studi e chi no, infatti, era facile immaginare come per un cittadino medio, un “quisque de populo”, affidarsi totalmente al sapere del medico fosse una scelta obbligata: difficilmente un individuo in possesso al massimo della licenza elementare ( quando andava bene ) riusciva a  disquisire con un medico su quelli che erano ( e tutt’ora sono ) gli infiniti aspetti della medicina, districandosi nei meandri di questa stupenda scienza mai esatta.

Diversamente invece, negli ultimi decenni il maggiore benessere ed un esponenziale aumento del grado di alfabetizzazione, assieme soprattutto allo sviluppo di una maggiore tutela della persona umana, hanno provocato un’inversione di rotta in quella che è la partecipazione del paziente alla scelta delle cure mediche.

Quello che per comodità possiamo definire il ceto “medio”, cioè lo zoccolo duro della odierna società, possiede ( o almeno così si presume ) quel minimo di bagaglio culturale sufficiente per comprendere il valore e l’importanza di un determinato percorso terapeutico.

In sostanza chiunque, confrontandosi con un operatore della sanità, dovrebbe essere in grado di comprendere, a seconda delle varie ipotesi mediche, a cosa sta andando incontro.

Tuttavia, nonostante già la Costituzione prevedesse ( e prevede tutt’oggi ) all’art. 32 che nessuno può essere sottoposto obbligatoriamente a trattamenti sanitari senza la propria volontà ( se non per disposizione di legge ), solo negli ultimi decenni tale disposizione ( avallata da altri interventi normativi come la Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina del 1997, più comunemente conosciuta come Convenzione di Oviedo ) ha trovato concreta attuazione.

Recentemente, perciò, la consapevolezza della necessità di garantire una maggiore tutela della persona umana ha provocato un maggior grado di partecipazione del paziente e una sempre più accentuata centralità di questi nell’ambito delle scelte mediche: il rapporto tra medico e paziente non si basa più su un’etica di tipo paternalistico quanto piuttosto su un principio fondato su un potere decisionale condiviso da ambedue le parti.

Ma cos’è il consenso informato? Il consenso informato rappresenta l’autorizzazione che il paziente rilascia al medico e alla struttura sanitaria affinché possa ricevere un determinato trattamento sanitario, ma condizione essenziale è che il paziente venga adeguatamente  informato: con ciò si chiede al medico di illustrare adeguatamente l’iter procedurale, le alternative del caso, le conseguenze, in modo comprensibile a seconda del tipo di paziente che ha davanti: il medico deve cioè essere certo che il paziente abbia effettivamente compreso il significato di ciò che gli è stato comunicato e quale sarà l’iter da seguire.

Sostanzialmente al paziente vanno rese tutte le informazioni del caso concreto: lo stato di salute, lo stato della malattia, i vari trattamenti ipotizzabili, le alternative, le varie conseguenze tipiche e dunque prevedibili, lasciando perciò allo stesso la libertà, una volta correttamente informato, di sottoporsi o meno ad un determinato trattamento.

La forma in cui viene rilasciato il consenso è libera, tuttavia nei casi in cui un determinato trattamento sia di particolare importanza tale da poter provocare eventualmente conseguenze anche negative, viene rilasciato in forma scritta su appositi moduli.

E’ facile intuire come inoltre, in caso di successivo contenzioso ed in sede di istruttoria, tale pratica agevolerebbe non poco il lavoro della struttura sanitaria potendo questa più facilmente provare che il consenso fosse stato correttamente prestato dal paziente.

In tutti gli altri casi invece, soprattutto gli interventi di routine, il consenso può essere rilasciato anche in forma verbale, dunque si presume implicito.

Ulteriore requisito richiesto, infine, è che la volontà del paziente ( il consenso, appunto) di sottoporsi ad un determinato trattamento permanga per l’intero trattamento, ciò significa che il paziente potrà revocare il proprio consenso fino all’inizio della procedura.

Ovviamente, come è facile immaginare, tale iter va coordinato con quelle che sono le esigenze pratiche del caso concreto, non sempre infatti è possibile ottenere il consenso del paziente, basti pensare alle urgenze: nei casi di pericolo imminente per la salute, infatti, il paziente potrebbe non essere in grado di prestare il proprio consenso ad un determinato intervento, tuttavia in tal caso il medico sarà pienamente legittimato ( cosa che invece di norma non accade, quando cioè opera senza consenso ) ad intervenire, operando secondo quella che ritiene essere la miglior scelta volta a salvaguardare la salute del paziente.

 

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