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23 Nov

San Francesco e Padre Pio, una singolare storia artistica e spirituale, fra Giotto e Antonio Ciccone

20 Settembre 2024
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di Nicola Cisternino

ABBI PAZIENZA E VEDRAI CHE UN GIORNO LA DIVINA PROVVIDENZA TI AIUTERÀ!”
San Francesco e Padre Pio, una singolare storia artistica e spirituale, fra Giotto e Antonio Ciccone

Antonio Ciccone, Padre Pio Il confessionale, 2001 carboncino, cm 100×70


“All’età di 13 anni andai da Padre Pio e dopo la confessione gli mostrai dei disegni; lui li guardò attentamente, mi fissò e disse: ‘Abbi un po’ di pazienza e vedrai che un giorno la Divina Provvidenza ti aiuterà’. L’anno dopo mi si aprirono le porte. Padre Pio mi diede fiducia per rischiare”. (Antonio Ciccone)

Nicola Cisternino, Antonio Ciccone ‘Pitturicchio’ di Padre Pio, tecniche miste su carta cm. 29,5×42 (2024)


E’ l’espressione che Padre Pio indirizza al tredicenne Antonio Ciccone (il “Pitturicchio” come lo appellerà il
frate) che aveva portato in mostra al cappuccino alcuni suoi primi disegni, fogli che più ‘nobilmente’ raccoglievano su carta disegni e figure che già da bambino ‘Tonino’ andava realizzando per strada (non certo sui muri) ma sui marciapiedi di San Giovanni Rotondo, paese povero che come tutto il reso d’Italia cercava di ricostruirsi un futuro sulle macerie delle due guerre. Nella zona del convento dei Cappuccini il piccolo Tonino vi era già di casa poiché da bambino pascolava le pecorelle e le caprette del piccolo gregge di famiglia, il cui riparo era a qualche centinaio di metri dal Convento. Se non fosse di documentata e accertate fonte storica nelle celebri Vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori di Giorgio Vasari pubblicate nel 1568, verrebbe da pensare ad uno scherzo o compressione dello spazio-tempo come un ritorno al passato, e precisamente nel XIII secolo, per le circostanze che videro protagonista il nostro giovane Antonio a distanza di sette secoli. Nella Vita di Giotto pittore, scultore e architetto fiorentino il Vasari fa risalire la nascita di Giotto al 1276 e narra della circostanza in cui all’età di dieci anni il padre Bondone afÏda il giovane di naturale ‘prontezza d’ingegno’ ad un pastore nei dintorni della villa di Vespignano, a pochi chilometri da Firenze dove avvenne l’arcinoto incontro del già affermato Cenni di Pepo detto il Cimabue col giovane pastorello, un evento che con un’abile azione di marketing culturale, è rimasto impresso nella memoria colletÝva dei nostri decenni soprattutto per la rappresentazione che la nota casa di colori Giotto riportò sulle sue scatole di pastelli.


“[…]Onde, andando un giorno Cimabue per sue bisogne da Fiorenza a Vespignano, trovò Giotto che, mentre le sue pecore pascevano, sopra una lastra piana e pulita con un sasso un poco appuntato ritraeva una pecora di naturale, senza avere imparato modo nessuno di ciò fare da altri che dalla natura; per che fermatosi Cimabue tutto maraviglioso, lo domandò se voleva andar a star seco. Rispose il fanciullo, che contentandosene il padre, anderebbe volentieri. Dimandandolo dunque Cimabue a Bondone, egli amorevolmente glielo concedette, e si contentò che seco lo menasse a Firenze […] (Giorgio Vasari, 1568)


Sembra quasi di assistere ad una sorta di déjà-vu della storia, pastorelli entrambi, con il dono del talento del disegno, che incrociano nel loro percorso due méntori d’eccezione, il Cimabue per Giotto e Padre Pio per Antonio.

Tornando al nostro tempo, come preannunciato da Padre Pio, la Divina Provvidenza fece il suo corso, e già a 15 anni troviamo Antonio Ciccone preso in carico da una devota famiglia del frate a Firenze per fargli seguire degli studi artistici con Pietro Annigoni nella più affermata bottega pittorica e ritratÝstica del tempo, e con Nerina Simi nella Scuola Libera del Nudo all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Un canale di formazione di stretto rimando tecnico e filosofico alla tradizione cinquecentesca, a partire da Leonardo da Vinci a cui Annigoni si è sempre profondamente ispirato, estraneo ad ogni ‘modernismo’ che nel dopoguerra vedeva fortemente contrapposte le visioni ‘realiste’ dell’arte con quella delle più spregiudicate aperture sperimentali e informali. Stando al gioco del déjà-vu temporale, oltre alle coincidenti circostanze biografiche della prima giovinezza dei due talentuosi artisti che li portarono entrambi a Firenze, Giotto nella bottega del Cimabue e Ciccone in quella di Pietro Annigoni, l’altra circostanza significativa per entrambi gli artisti è la destinazione ‘mirata’ della loro arte verso le due figure ‘mendicanti’ per eccellenza delle due epoche, Francesco di Assisi per Giotto nel XIII secolo (il suo monumentale Ciclo Francescano di affreschi della Basilica Superiore di Assisi viene realizzato negli ultimi anni del secolo 1292-1296, a settant’anni dalla morte di San Francesco) e Padre Pio per Antonio Ciccone che ininterrottamente ha ritratto il frate stigmatizzato del nostro tempo in varie forme dopo la sua morte nel 1968, divenendo, essendone destinato, il suo ritratÝsta-artista d’elezione. Curiosa circostanza artistica, con molti di quei tratÝ analitici della sincronicità junghiana che rimanda a connessioni profonde, che accomuna nella storia della rafÏgurazione artistica e religiosa, le due uniche figure francescane e stigmatizzate della storia: San Francesco e Padre Pio di Pietrelcina. Con una sostanziale differenza però, che Giotto realizza il mirabile ciclo Francescano di Assisi ben sette decenni dopo la morte di San Francesco (1226) e dunque secondo la lettura agiografica e ‘normalizzata’ della Legenda Maior (1263) di fra Bonaventura da Bagnoregio affermata e canonizzata dall’Ordine dopo la distruzione di tutÝ gli altri racconti dei frati vissuti direttamente a contatto con San Francesco, mentre nella nostra epoca Antonio Ciccone ha disegnato e dipinto fin da giovane Padre Pio ‘de visu’ con la presenza (e certamente con la sua guida nascosta) del santo stigmatizzato del Gargano che ha sempre seguito e guidato la crescita artistica e spirituale del suo ‘Pitturicchio’ e per suo tramite, in special modo col talentuoso e magnifico tratto sfumato dei suoi ritratÝ al carboncino, la rafÏgurazione artistica e interiorizzata della sua immagine trasmessa nei tempi futuri, un vero e proprio sigillo della Verità, in termini iconici, per tramite dell’arte.

Antonio Ciccone, Padre Pio e autoritratto con Alissa, 1996, carboncino, cm 100×70



“Il San Francesco è stato il mio primo affresco che mi fu commissionato che realizzai sotto la guida del maestro Annigoni. Padre Pio l’ha visto nascere, pezzo per pezzo, come va fatto con l’affresco la cui tagliata (le parti staccate) va completata entro la giornata altrimenti va rifatta. Ed ogni matÝna che passava per andare a celebrare, si soffermava nel guardare la parte nuova e mi chiedeva: “Beh! Pitturì, come va?”. Ad affresco completato, si avvicinò lentamente dal fondo della sala, si soffermò e mi disse: “Guagliò, Pitturì, mò gli devi mettere un cancello, se no quello se ne scappa!!!” (videotestimonianza di Antonio Ciccone davanti all’affresco del San Francesco affrescato nella Sala S. Francesco del Convento
S.Maria delle Grazie)

Nicola Cisternino a Radio Monte calvo di Franco Impagliatelli

Nicola Cisternino commenta l’opera di Antonio Ciccone a qualche giorno dalla morte del Maestro nella diretta di PadrePio TV (22 agosto 2024)

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