Per volontà degli eredi fiorentino riporto qui Una bella e significativa conversazione che il dottor Michele Capuano, medico poeta e scrittore di San Giovanni Rotondo , tenne il 4 aprile 1987 presso la sala parrocchiale San Giuseppe Artigiano, patrocinata e promossa dai Lions Club di San Giovanni Rotondo, sulla figura poliedrica di uno dei più cari e grandi artisti sangiovannesi: Francesco Paolo Fiorentino (pittore commediografo poeta di San Giovanni Rotondo1935/1986).
Non vi nascondo che ,oggi ,trovarmi qui a commemorare uno dei più cari amici degli anni passati,mi turba in modo profondo,però ho accettato molto volentieri l’incarico della Famiglia e degli amici,di tenere questa conversazione sul caro Cecchino essenzialmente per due motivi. Il primo è perché ho molte cose da dire ,tante cose che, forse ,non tutti conoscono nella loro integrità. Il secondo motivo è perché ,nel giorno della sua morte,sono rimasto letteralmente scioccato. Consentitemi il brutto neologismo ,però mi sono reso conto che solamente due giornali della provincia di Foggia hanno parlato di F.P.Fiorentino .Precisamente c’è stato un articolo ,anche se breve,del caro amico Derrè di Rignano Garganico,apparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno. Un altro,invece,sulla rivista “Casa Sollievo della Sofferenza. Direi ,troppo poco ,per non dire quasi niente,per una personalità dalla levatura di intellettuale come F.P.Fiorentino. Ecco perché oggi ho sentito il bisogno di dire qualcosa su di lui, o meglio qualcosa non detta da altri,perché la mia consuetudine di amicizia con il Nostro,scomparso prematuramente,mi porta a rivelare ,consentitemi la parola,delle cose sulla sua arte,sulla sua attività poliedrica che praticamente il grosso pubblico non conosce. E’ bene,quindi,che il pubblico conosca chi è stato questo nostro concittadino,veramente degno della nostra terra.
Devo cominciare naturalmente dalla pittura,dalla sua carriera di pittore. Come tutti i pittori che hanno qualcosa da dire ,anche Fiorentino ha percorso nella sua vita una parabola. Questa parabola purtroppo è stata interrotta bruscamente dallo strappo della morte,ma vale la pena ripercorrerla in maniera precisa ,perché io sono stato al suo fianco fin da quando era poco più che un giovanotto e quindi l’ho accompagnato,ci siamo intesi ,ci siamo capiti in questa nostra comunione ,non solo di cultura,ma anche di affetto. Nel 1955,Cecchino aveva appena vent’anni ed era il periodo in cui io avevo mandato a Milano,ad una delle riviste più importanti di etnologia,un mio poemetto africano. A quei tempi,direttore della rivista era il professore Fichera,figura insigne di letterato,di artista e poeta,che mi scrisse ,invitandomi a far illustrare il poemetto da qualcuno. Per me era un’impresa veramente ardua ,perché nel ’55 trovare un pittore,un disegnatore che interpretasse questo mio lavoro,non era facile. Venne in mio aiuto mia figlia Grazia ,la quale era stata allieva di Cecchino,che mi disse che a scuola c’era un professore davvero bravo che avrebbe potuto essermi utile. Così ci siamo incontrati .Gli ho dato il poemetto e dopo due giorni Cecchino mi porta a casa quattro disegnini. Erano minuscoli ,grandi quanto una scatola di fiammiferi.
Però,come li vidi mi meravigliai immediatamente come quest’uomo ,senza essere mai stato in Africa,avesse interpretato quello che era il mio pensiero. Mandai questi disegni ,fatti ad inchiostro di china ,a Milano. Anche Fichera li gradì e li elogiò moltissimo. Io glielo dissi e Cecchino fu contento come una pasqua ,saltando dalla contentezza. Da quel momento non lo lasciai più. Avevo capito che quel ragazzo,poco più che ventenne ,aveva veramente qualcosa da dire. Infatti gli anni successivi mi hanno dato ragione. Dunque ,Cecchino aveva cominciato,come fanno tutti i pittori di questo mondo,con l’imitare i suoi predecessori ,soprattutto francesi. Era innamorato degli impressionisti francesi ,da Monet,Renoir,Pissarro, Proust ,fino a Van Gogh. Per cui i suoi primi quadri evocavano un po’ lo stile di questi grandi maestri dell’800 ,inizio 900. Infatti ,c’è tutta una gamma di quadri ,tele,acquarelli e chine veramente notevoli. Però ,lui che si affacciava ,in quei tempi,al proscenio dell’arte ,non aveva ancora una grande gamma di colori. I suoi colori erano tutti o quasi sul grigio,con sfumature di viola.
Almeno in quei tempi,la caratteristica della sua personalità era questa ,come anche figure e paesaggi lunari,così come li definii nel primo depliant che feci per la sua prima mostra a San Giovanni. Questa fase durò praticamente cinque o sei anni. Dopo ci fu un lungo periodo di attesa ,di studio e di prove ,finchè si arriva al 1970 ,quando il nostro Cecchino esplode alla grande con una serie di venti quadri ,che lui stesso definì “Metamorfosi”. Qui il pittore era già uscito dai limiti precedenti,limiti nei quali c’erano ancora delle sfumature romantiche in cui erano presenti ancora dei reliquati che aveva appreso dai grandi impressionisti francesi. Con le Metamorfosi entriamo immediatamente nel primo ciclo veramente importante della sua pittura , a carattere nazionale. Sono poco più di venti tele,però coloro che le hanno viste ,non possono che rimanervi addirittura meravigliati. In queste venti tele c’è ,non la fotografia della realtà ,non il disegno per il disegno,ma c’è una natura in movimento. Cecchino aveva letto,in quel periodo,tutti i libri di Kafka – me lo diceva spesso -. Aveva letto i romanzi di Buzzati e dai banchi della scuola,si era ricordato delle Metamorfosi di Ovidio. Quindi per lunghi anni aveva meditato,aveva cercato di fondere tutti questi elementi in un’unica impresa artistica di grandissimo rilievo ed importanza nazionale. Infatti,chi ha visto quelle pitture,vede la trasformazione di un insetto ,di un bruco,per esempio,in farfalla.
Vede il grosso ramo di un albero annoso che improvvisamente caccia degli spuntoni,che allunga dei tentacoli e si trasforma in polipo. Quindi c’è tutta la natura.Dalle piante ,agli animali,all’uomo che si trasforma in un altro tipo: da un animale si passa ad una pianta;da una pianta si passa ad un animale marino;da un animale marino si passa addirittura ad una crisalide ,da una crisalide ad una stella. E’ tutto un congegno meraviglioso di natura in movimento ,sotto un cielo astratto che non ha riscontro alcuno nei cieli che siamo soliti guardare. Cecchino aveva impiegato poco più di un anno a realizzare questi venti quadri,ma cosa assai importante,è che oltre alla concezione delle metamorfosi,che abbracciava presente e passato,c’è tutta la gamma della tecnica pittorica ,dai primordi della pittura fino ai tempi moderni. Più precisamente ,è meraviglioso notare come quest’uomo abbia saputo concentrare in un unico quadro,tutte le tecniche ,fonderle in una maniera così precisa ed allettante e così fuori dall’ordinario, tanto da destare l’ammirazione di tutti. Infatti,in queste tele troviamo l’acrilico,l’olio ,il pastello. Troviamo la matita,il carboncino ,il gouache e finanche il collage:abbiamo tutte le tecniche fuse in maniera eccezionalmente bella. L’unico rammarico è che questa meravigliosa serie di quadri sia andata quasi dispersa,perché Cecchino ,tra i suoi difetti, bisogna dirlo ,aveva quasi la mania di allontanare da sé le sue cose più belle .. Infatti ,se noi oggi volessimo concentrare le venti tele,direi che sarebbe cosa assai ardua.
Questo è importante,perché se noi volessimo fare una retrospettiva,sarebbe assai difficile poterle rivedere tutte per parlarne con cognizione di causa. Il terzo periodo venne dopo quattro ,cinque anni,ed è il periodo più esplosivo della pittura di Cecchino. Questo periodo non contemplava più nella natura la figura ,ma contemplava addirittura gli spazi dell’universo. Appartengono a questo periodo le sue tele più estrose,luminose,i suoi quadri più bizzarri,perché l’artista si era prefisso di esplorare gli spazi del cosmo e di popolarli ,con la sua fantasia sbrigliata,di meccanismi e congegni che nessun uomo aveva mai visto nella realtà.
Senonchè ,per richiamare l’attenzione dello spettatore alla realtà presente,lui amava ,in un angolino di questi quadri,mettere una piccola figura umana. Poteva essere, indistintamente , una donna o la testa di un uomo,perché Lui ,nella sua concezione ,intendeva che al centro dell’universo c’è l’uomo e che da esso parte il pensiero: il pensiero ti da la fantasia ,dalla fantasia si ha lo spazio cosmico. Dopo che questo spazio cosmico è stato popolato dagli innumerevoli oggetti e fantasie che l’uomo è capace di ideare,si ritorna di nuovo all’uomo pensante. Ecco dunque il principio filosofico della sua pittura ,che oltre ad essere una prova somma della sua genialità,rappresenta anche un approfondimento dal punto di vista filosofico. Non è vero ,sosteneva Cecchino,che l’universo è al centro del nostro pensiero,siamo noi che col nostro pensiero lo popoliamo di oggetti di fantasia,di castelli,congegni e addentellati meravigliosi che non hanno una collocazione precisa ,ma che ruotano,si compenetrano,che balzano,che scappano e ritornano l’uno addosso all’altro,l’uno dentro l’altro.
E’ meravigliosa questa esplosività del suo cervello che non trova riscontro in nessun altro quadro oggi esistente. Oggi noi possiamo parlare di impressionismo,astrattismo,surrealismo,ma quando abbiamo detto questo e prendiamo i quadri dei pittori astrattisi o surrealisti ,non troveremo mai che questi quadri assomigliano a quelli di F.P.Fiorentino, che ,invece,sono unici sia per l’ideazione che li sostiene ,che per il concetto che li sostiene e sia per la qualità dei mezzi e delle forme che ruotano nell’universo. Ma c’è di più. Nella sua fantasmagoria unica,Cecchino ha saputo mettere insieme oggetti contrastanti. Troviamo nei quadri di questo periodo,forme geometriche miste a forme circolari ruotanti. Troviamo punti fermi dell’universo in contrasto con forme in movimento,identificate da un punto che viene dal cervello dell’uomo pensante ( interruzione nastro) Questi quadri naturalmente fecero la fortuna del Nostro .
Furono esposti prima di tutto in Giappone ,nella galleria Subaghi di Tokio ed ebbero un successo talmente rilevante che andarono a ruba. Nel 1981 furono esposti nella galleria di Francoforte ….sul Meno In seguito vennero esposti in quasi tutte le città d’Italia come Roma ,Varese,Prato, Firenze ,Bari e tante altre. Quindi sono rimasti come punto fermo della sua parabola ascendente. Qui, però , devo fare un’osservazione . Cecchino è stato visitato ed interpretato dai maggiori critici d’Italia,uomini dalla elevatura intellettuale come Italo Carlo Sesti,eppure nessuno tra questi è riuscito a definire in maniera precisa quello che era l’indirizzo artistico di Cecchino. Devo dire questo non per fare la critica della critica,ma perché in un’intervista gli chiesi a bruciapelo come lui avrebbe definito la sua pittura. Lui,candidamente, mi rispose che non era né impressionismo né astrattismo né cubismo ,ma espressionismo cosmico. Dunque lui riponeva tutta la caratteristica della sua pittura nell’espressività del quadro. E questa espressività lui la raggiungeva né con la figura né col paesaggio,ma col dinamismo delle forme ruotanti in ogni sua tela,crisma inconfondibile. Io ,pur avendo girato molte gallerie ed avendo letto molti libri di storia dell’arte,devo dire che questa nuova corrente filosofico-artistico,sostenuta anche da forme letterarie,non l’ho mai vista e trovata in nessuno dei libri che ho letto. Dunque oggi possiamo asserire,senza sbagliare,che lui, F.P.Fiorentino, è stato il capostipite,il caposcuola di una nuova corrente artistica che va,dovrebbe andare ,sotto il nome di espressionismo cosmico ,come lui stesso la definì. Naturalmente questa corrente è vissuta con lui per oltre un ventennio ,nel senso che non lo ha mai abbandonato.( interruzione nastro) Guardando i suoi quadri successivi ,che ritraggono ruderi,anfratti,il paese natìo,squarci della Valle dell’Inferno,assistiamo ad un ritorno su se stesso.
Allora, ci si chiede come mai ,un pittore che ha raggiunto il massimo della felicità con l’ espressionismo cosmico, ad un certo punto sente il bisogno di tornare su se stesso. Non è facile da comprendere ,ma io che sono sempre stato al suo fianco,credo di aver percepito in lui la nostalgia del ritorno a queste forme, luoghi e circostanze affettive che destavano in lui il senso dell’affetto. Più che della memoria,lui sentiva,nel ricordare,l’attaccamento a questi ruderi. Non voglio ergermi a interprete dei suoi pensieri,ma da quello che mi diceva,ho capito che quest’uomo ,che da sempre si era lanciato nell’avventura cosmica,sbrigliandosi all’infinito a dipingere forme strane,forme cerebrali,ad un certo punto della sua vita ,ha sentito il bisogno di descrivere il suo paese.
Ma non lo ha fatto per novità o per seguire,pedissequamente,la corrente che predilige le zone rurali,le campagne ,le masserie. No, non lo ha fatto per questo . Lo ha fatto perché sentiva l’esigenza di dover ritornare, una volta per sempre, alla sua terra natale,dopo aver viaggiato lungamente e con la fantasia,attraverso le galassie e le stelle del cosmo. Dovrei adesso,brevemente accennare alla sua attività di uomo di teatro. Non è facile ,credetemi,tirare le somme ,anche perché noi sappiamo dalla famiglia ,che Cecchino ha lasciato qualcosa come circa settantasette lavori teatrali. Di questi settantasette lavori teatrali, ci sono molte commedie,tragedie,drammi e farse,addirittura dei misteri drammati. Ora,se noi conosciamo soltanto una ventina di questi lavori teatrali,non possiamo dare un giudizio definitivo sul valore intrinseco-artistico di questa sua produzione teatrale. Però un qualche giudizio lo possiamo anche dare ,perché da quello che abbiamo sentito e dalle commedie che siamo andati a vedere,possiamo dire con tranquillità che quest’uomo è stato sempre attento alla vita della sua gente.
Che ha voluto portare nel teatro non una spavalderia,che pure avrebbe preso molti autori. Egli invece ha voluto fermare sulla carta tutti i movimenti,tutte le idee,tutte le contingenze quotidiane della sua gente. Ora,per quanto riguarda le commedie, nelle quali qualcuno intravede l’influsso dei De Filippi ,io personalmente ritengo che esse provengono dal popolo e al popolo ritornano , scandagliando nella realtà della povera gente,della gente comune . Voi non troverete mai un lavoro del Nostro dove predominano personaggi altolocati. Le commedie che riguardano il popolo sono un ricamo,un disegno,una collana di pensieri d’arte, di gesti adeguati a quella che è la realtà degli umili. Anche gli attori nella loro espressività sono forieri delle espressioni del popolo. Il popolo così prega ,così piange,così vive ,proprio come egli lo rappresenta. Quindi il suo teatro è fotografia della vita del popolo. E’ penetrazione nella realtà del popolo senza secondi fini,ma con allusioni così garbate ,così intelligenti e congrue ,che strappano la risata franca ,perché egli ha saputo cogliere profondamente la realtà umana. Ma c’è di più. Nei lavori teatrali di Cecchino ci sono anche delle tesi che lui si è proposto di sviluppare .
Ma c’è ancora di più,in quanto egli ha ripristinato il mito di Faust,dunque il suo è anche teatro di concetto. Non solo teatro di corrente ,fatto per intrattenere il pubblico ,ma anche teatro di concetto. Non dimenticherò mai ,quando nell’ultima commedia fece parlare Furcok , la personificazione di satana .Così come non dimentico la grandezza della sua terz’ultima di stampo pirandelliano o la sua ultima ,dedicata agli affetti suoi più cari.
Dunque uno scrittore di teatro capace di sviscerare concetti universali , ironicamente o drammaticamente .( da qui il nastro è praticamente o quasi iterrotto) Uno scrittore per nulla inferiore a De Filippo, che però ha avuto la sfortuna di lasciarci troppo presto. Del suo grande repertorio teatrale ,in dialetto e in lingua ,una sola commedia è stata pubblicata,quella in italiano. Grande rammarico questo,cui si dovrebbe ovviare ,perché le sue opere andrebbero fatte conoscere a tutti. Mentre per quelle in vernacolo. lui stesso si poneva il problema della necessità di scuole che insegnassero a scrivere il dialetto perché non si perdesse e con esso la voce degli umili. Alla stessa altezza anche le sue poesie.
Pochi sanno che Cecchino è stato anche un poeta di razza . Tre piccole raccolte pubblicate a corollario dei suoi quadri ,ci tramandano un poeta vivo,ardente ,la cui parola poetica,ficcante e raffinata ,ha saputo parlare non solo di sé ,ma dell’animo, tormento ed estasi di ognuno.
Nella piena dei suoi sentimenti,è incredibile come egli spaziasse dalla pittura alla poesia,dalla poesia ai lavori teatrali,dai lavori teatrali alla regia,dalla regia alla scultura. Era una mente veramente qualificata. Non tutti sanno ,per esempio ,che Cecchino,negli ultimi tempi,si era approcciato anche alla scultura .
Quel San Michele che noi troviamo lungo la strada per Foggia, che fu realizzato come scultura da un suo cugino, è frutto di un suo disegno. Ultimamente ,mi dicono i familiari,iniziava a prendere in mano anche la creta per cercare di realizzare delle forme tridimensionali. Devo ancora ricordare ,a proposito di questa sua attività artistica,alcuni episodi importanti che non dimenticherò mai. Molti suoi lavori sono rimasti incompiuti data la sua prematura scomparsa. Ma mi preme ricordare alcuni tra questi come la via Crucis nuova ,della cattedrale di San Giovanni .
Il parroco di San Leonardo,dopo il restauro,gli aveva commissionato una nuova via Crucis. E Cecchino si era messo subito all’opera,studiando anche il Vangelo e i Testi Sacri,per non essere al di sotto delle aspettative. Del resto faceva così per ogni suo lavoro: lo ha fatto per i quadri ,come la Valle dell’Inferno,percorrendo a piedi,per giorni e giorni ,l’intera vallata;lo ha fatto per le abazie diroccate,per il centro storico e per le Metamorfosi. Quindi a maggior ragione lo stava facendo per la Via Crucis della cattedrale di San Giovanni.
Un giorno,era di mattina, venne a casa mia e a bruciapelo mi chiese se avessi foto del cristo così come riemerso dalla sindone. Trovai tra le mie carte foto e riviste del cristo tridimensionale e gliele consegnai. Non potete sapere la luce nel suo sguardo. Aveva ultimato quasi tutti i disegni quando la morte lo allontanò per sempre. Vi lascio immaginare se solo lui avesse completato i lavori della sua Via Crucis:sarebbe stata la prima via crucis della storia ad avere il volto del cristo secondo la sindone. Tutte le vie crucis ,di tutto il mondo,presentano una raffigurazione del cristo diversa a seconda della visione dell’artista .
Quella del Nostro avrebbe avuto una raffigurazione del cristo tridimensionale ,così come ci è stata consegnata dagli studi sulla sindone . Dunque avremmo visto realmente il cristo soffrire ,nella sequela da lui elaborata e mai terminata. Ecco perché le autorità preposte dovrebbero far in modo che le sue opere vengano conosciute e fatte vivere. Non devono essere abbandonate nei cassetti o essere prerogativa di pochi. Devono essere prerogativa di tutti. Non posso chiudere questa mia conversazione senza ricordare il valore dell’Uomo.
Fondamentalmente ,e questo non tutti lo sanno,Cecchino era un timido. Era una persona sincera e cristiana,anche se qualcuno ,in qualche poesia ,ha voluto vedere un atteggiamento non conforme alla cristianità. Era un’anima profondamente inquieta,un ricercatore dal pensiero fluente ,in estasi di creatività che è riuscito magicamente a fermare su carta e su tele,consegnandoci dei capolavori unici.
Ci sono migliaia di poesie,tutte bellissime ,che rappresentano il tormento di un uomo che ha molto sofferto,molto pensato e molto amato . Declamazione poesia il Muro L’aderenza del pensiero ,la precisione,la perfezione ,il sentimento che si snoda dai suoi versi,rappresenta anche la poesia come forma d’arte compiuta e squisitamente articolata ,resa ancor più fascinosa dall’uso del correlativo oggettivo. Certamente Cecchino è riuscito a scavalcare il muro della contingenza quotidiana per giungere all’infinito.
Altri muri non è riuscito a scavalcare e non perché gli mancasse l’anima,ma perché lo tirava giù la lotta quotidiana. Quella stessa lotta sofferta che oggi impone a noi di ricordarlo come meglio possiamo e di additarlo alla riconoscenza dei cittadini ai quali Egli,con la sua arte ,la sua attività e la sua vita,ha donato il meglio di se stesso