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23 Nov

La testimonianza del sangiovannese Don Michele Cocomazzi, parroco di Castiglione Messer Raimondo, nella zona rossa d’Abruzzo

Di  Davide De Amicis

“Attraverso i miei occhi scorrono le lacrime dell’intera comunità”

Don Michele Cocomazzi, 33 anni, dal 2014 è il parroco di Castiglione Messer Raimondo (suo secondo incarico assunto a sette mesi dalla sua ordinazione sacerdotale), località nel versante teramano dell’arcidiocesi di Pescara-Penne cheinsieme ai comuni di EliceCastilentiBisentiMontefino e Arsitarientra nella zona rossa individuata dalla Regione Abruzzo a causa della grave proliferazione del Coronavirus Covid-19Al momento sono otto gli abitanti di Castiglione deceduti in una settimanamentre 33 sono quelli risultati positivi tra i quali spicca anche il giovane sindaco Vincenzo D’Ercole, attualmente in isolamento domiciliare e in buone condizione di salute. In questa prospettivadon Michele resta l’unico punto di riferimento per i suoi compaesani essendo l’unico autorizzato dall’amministrazione comunale a muoversi liberamente all’interno del paese, esteso 30 chilometri quadrati, dal quale non si può né entrare né uscireIl parroco del Santuario di San Donato ha raccontato a La Porzione.it questi giorni di grande tribolazionema anche di preghiera e speranza.

Don Michele, come stai e come sta la popolazione di Castiglione Messer Raimondo?

«È una situazione drammatica, sono molto abbattuto, ma dobbiamo farci coraggio. La comunità è molto provata, com’è inevitabile che sia. Al rientro dei tamponi, lo scorso sabato, abbiamo scoperto che è risultato positivo anche il sindaco della vicina Montefino, il quale è anche il medico di Castiglione. È una situazione surreale, da guerra, i varchi del Paese sono presidiati dalle Forze dell’ordine. La maggior parte delle persone sono a letto, malate, all’interno delle case, mentre chi è entrato in contatto con loro è comunque in isolamento fiduciario in casa. Nelle abitazioni ci sono tanti malati ai quali non è stato fatto il tampone che se venisse fatto a tappeto, molto probabilmente, vedrebbe gran parte della popolazione positiva. C’è un via vai di ambulanze che porta i malati presso gli ospedali di Atri e Teramo. Ma non è solo questo. Il coronavirus arriva come l’ennesima tegola sulla popolazione, la quale – da quando sono qui – ha già subito i danni del terremoto 2016-2017, alluvioni, frane e la grande nevicata del 2017 che ci ha lasciato senza luce per 10 giorni. Quest’area, la Val Fino, è stata martoriata e in tutto questo, essendo anche il vicario foraneo, cerco di stare in prima linea».

In questa situazione, come porti avanti il tuo ministero di sacerdote e parroco?

«Io continuo a celebrare la messa ogni giorno alle 9.30 (nei festivi alle 11). Posiziono l’amplificatore delle processioni sul sagrato della parrocchia e irradio la Parola di Dio attraverso le campagne. Il venerdì celebro la via crucis in cima al belvedere, faccio videochiamate e poi diffondo continuamente una parola buona attraverso i media dell’amministrazione comunale. Cerco di dare un segno di speranza. Quando mi chiamano per impartire l’unzione degli infermi non mi rifiuto, interagendo con le persone facendo ricorso a tutte le precauzioni del caso. Giovedì scorso, in occasione della preghiera del rosario per l’Italia, ho pregato al viale del paese dove c’è un’edicola votiva dedicata alla Vergine Maria, dalla quale ho benedetto i fedeli che assistevano dietro le finestre delle loro case. Poi accolgo i morti al cimitero, spesso da solo perché i parenti dei defunti si trovano in quarantena, per cui attraverso gli occhi del parroco scendono le lacrime di tutta la comunità. Anche perché il paese conta 2.200 abitanti e ci conosciamo tutti. Venerdì scorso mi sono scoraggiato, perché è morta una signora (la paziente 1 di Castiglione) che veniva tutti i giorni a messa, ritirava le offerte, puliva la chiesa. La vita non è stata buona con questa donna. Inoltre, porto anche la spesa nelle case alle persone che non possono uscire».

Diversamente da molti altri sacerdoti, tu utilizzi meno i social network per celebrare l’Eucaristia…

«Non sono molto social, la maggior parte della popolazione è costituita da anziani privi di account social e poi ho il timore che trasmettendo le messe su Facebook o via Skype, la gente pensi che questa sia una valida sostituzione alle liturgie celebrate con la presenza fisica, adagiandosi. Invece è giusto che comunque i fedeli avvertano la presenza del parroco, che comunque sta pregando. E poi in televisione ci sono messe e rosari a tutte le ore. Prima di celebrare la santa messa, faccio suonare le campane a festa ogni giorno e poi gli echi della mia voce arrivano a tutti. La gente sente che io sto pregando e si inginocchia. Un ragazzino, per telefono, mi ha raccontato che ogni giorno alle 9.30 sua nonna si mette in ginocchio di fianco al camino dicendo “Il prete nostro sta dicendo la messa” ed io mi sono commosso».

Operando in un territorio così complesso, come riesci a trovare la forza per andare avanti?

«Cerco di infondere coraggio alla gente, restando insieme nella buona e nella cattiva sorte. Questa è la vita del parroco ed è giusto che sia così. Loro sanno che io ci sono, però mi mancano. Mi mancano i ragazzi della scuola presso cui insegno, mi mancano gli incontri e vedere la gente seduta in chiesa. Mi manca incontrare queste persone nella vita di tutti i giorni, presso le loro case nelle quali mi invitavano dandomi l’occasione di dire una parola buona. Sono felice di essere parroco qui e di aver condiviso e condividere, nella gioia e nel dolore, questi anni di esperienza sacerdotale con questa popolazione a cui voglio bene e loro ne vogliono a me. Sto ricevendo messaggi di gratitudine e affetto commoventi. Ma in tutto questo ci tengo a dire che non sono di certo un eroe, faccio esattamente quello che fanno anche gli altri miei confratelli dell’arcidiocesi di Pescara-Penne i quali, l’arcivescovo monsignor Tommaso Valentinetti e il vicario generale monsignor Francesco Santuccione in primis, non mancano di esprimermi continuamente la loro vicinanza».

Fonte /www.laporzione.it/

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