C’è un volto tra i tanti della Grande Guerra che merita di essere ricordato: quello di Giovanni Fraticelli, giovane avvocato e ufficiale originario di San Giovanni Rotondo, nato il 25 ottobre 1886.
Un uomo di cultura, animato da ideali limpidi e da una profonda dedizione civile, che trovò la morte tra le trincee del fronte nel 1915, a soli ventinove anni.
Dalla toga all’uniforme
La vita di Giovanni Fraticelli era segnata da studio e impegno. Dopo la laurea in giurisprudenza all’Università di Pisa, intraprese la carriera di funzionario pubblico, diventando segretario dell’amministrazione scolastica di Bari.
Era conosciuto e stimato per la sua correttezza, la sua gentilezza e il suo entusiasmo. Ma allo scoppio della Prima guerra mondiale, lasciò tutto per rispondere alla chiamata della Patria.
Fu assegnato come sottotenente al 139° Reggimento Fanteria – 9ª compagnia. Da quel momento, la sua vita prese la direzione del sacrificio e dell’eternità.
Una lettera dal fronte
Dalle trincee scrisse all’amico Oreste Martinengo, funzionario di Pubblica Sicurezza a Pisa.
In quella lettera — forse la sua ultima — la guerra appare non come epopea, ma come quotidianità fatta di fango, attese e ironia.
“Siamo in trincea, fra buche e muri di sacchi di terra…
quando non ho da fare, mi metto fra due macigni a guardare l’austriaco.
Tu ben sai che quando ero a Pisa mi facevo onore alle gare di tiro a segno, quindi non ridere se mi vanto.”
Parole semplici, che oggi suonano come un testamento morale: dietro il coraggio militare, c’è la delicatezza di un uomo che osserva il mondo e ne racconta la verità senza retorica.
Il giorno dopo averla scritta, il 26 ottobre 1915, Giovanni Fraticelli cadde sul campo di battaglia, colpito in pieno petto da una granata austriaca da 280 mm.
Del suo corpo non restò nulla: la violenza dell’esplosione lo aveva disperso tra le rocce del fronte. Ma la sua memoria non si disperse mai.
L’omaggio di Pisa e la memoria familiare
La città di Pisa, dove aveva studiato e lavorato, lo ricordò con profonda commozione.
Un giornale locale scrisse:
“Buono, sincero, coraggioso, affabile: morte più degna non poteva trovare di quella occorsagli, alla testa dei suoi soldati, nella terra consacrata da tanto sangue sublime.”
Lasciò una giovane moglie, Giovanna Del Grosso, e una figlia, Vanda, madre di Nina Formica, che oggi ne tramanda con amore il ricordo.
In quella linea diretta di affetti, si conserva non solo la memoria di un familiare, ma il riflesso di un’Italia fatta di giovani idealisti, uomini colti e umili, che credevano in un Paese da costruire.
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L’eredità di una generazione
Giovanni Fraticelli rappresenta una generazione intera: quella dei giovani italiani che, tra il 1915 e il 1918, lasciarono studi, case, sogni e amori per andare incontro a un destino incerto.
Molti non tornarono, ma il loro sacrificio contribuì a forgiare una coscienza nazionale.
Raccontare oggi la sua storia significa restituire umanità ai nomi scritti sui monumenti, ricordare che dietro ogni uniforme c’era un uomo, una voce, una lettera, una speranza.
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“La memoria non è un esercizio del passato, ma un dovere del presente.”
Ricordare Giovanni Fraticelli significa dare volto e voce a tutti i caduti che, come lui, amarono la vita e servirono l’Italia fino all’ultimo respiro.
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