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28 Aug

Francesco di Salvatore Viscio

Si era verso la metà degli anni Sessanta; anni caratterizzati dal grande boom economico e da importanti rivoluzioni culturali e sociali. Dalle lotte femministe per la giusta e sacrosanta parità dei diritti contro l’autoritarismo patriarcale e maschilista! Frequentavo l’ultimo anno dell’istituto Magistrale, Giovanni Parini. Il preside, certo Antonio Bianco, era un cattolico, praticante, dai principi rigidi e non negoziabili, almeno all’interno delle mura scolastiche. Non mi è dato sapere se i suoi valori lo fossero anche nella vita sociale e privata. Preghiera al mattino, Angelus a mezzogiorno e preghiera all’uscita erano d’obbligo. E non c’era ancora la libertà di scelta sull’avvalersi o meno dell’ora di religione. Gli insegnanti erano tutti allineati o quasi! Soprattutto la Prof. di Filosofia, quella dalle labbra strette, mai con un tocco di rosso. Quella senza voglie, dal sorriso spento che si accendeva soltanto se si ragionava della morale di Kant o di temi etico-religiosi, argomenti assai distanti dalla nostra goliardìa giovanile. Il mio compagno di banco era Francesco e veniva da un paese vicino. Aveva i capelli un po’ ricci e un po’ ondulati, pettinati all’insù, con un indefinibile taglio scalato, d’altri tempi. Il suo sorriso semplice sembrava una smagliatura in fuga dalla malinconia. Fin dalla sua prima infanzia era vissuto da “orfano bianco”: aveva soltanto tre anni, allorquando, il padre era salito sul treno degli emigranti. Quel treno che oltre ad essere un veicolo di sostentamento per tante famiglie italiane, era anche una fonte di arricchimento per il Paese, tutto!

Dalla madre, vedova bianca anche lei, aveva ereditato la capacità di abitare la propria solitudine in modo discreto e dignitoso, ma senza disdegnare relazioni amicali selettive, anche profonde, come quella che era nata tra di noi.

Francesco era stato costretto a crescere in fretta e viveva la scuola come luogo di riscatto per un futuro diverso da quello paterno; un futuro contro l’emigrazione, vissuta come ferita sempre aperta fin dalla più tenera età. Era il tempo della lentezza, ma non se ne apprezzava il suo valore! E così, tra ansie e speranze, arrivò il giorno del diploma. Intanto il papà di Francesco, era ritornato al paese, ma lui lo sentiva così vicino così distante! Ci salutammo con il diploma in mano, con un abbraccio e un sorriso dolceamaro. Nei nostri occhi umidi, l’incertezza del domani. Non era tempo di telefonini e così, ben presto, ci perdemmo di vista! Una mattina d’inverno, mi arrivò una malinconica cartolina con la bandiera blu dell’Australia: era Francesco.

(S.Viscio)

(Francesco è il titolo di questo racconto inserito nella mia nuova nuova raccolta di poesie, in lingua, altre in vernacolo e racconti brevi, appunto, in fase di elaborazione e preparazione per la pubblicazione.)

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