Padre Pio sulle orme di San Francesco d’Assisi.
«Sento dentro di me una voce che assiduamente mi dice: santificati e santifica».
Così scriveva padre Pio nel 1922, sintetizzando in due sole parole la missione da realizzare nella sua vita: la santificazione propria e quella degli altri.
Parecchi anni dopo, ad un gruppo di scienziati riuniti a congresso, padre Pio parlò della missione di ogni uomo sulla terra e disse di sé:
— Che vi devo dire? Anche voi siete venuti al mondo come sono venuto io, con una missione da compiere… Io, religioso e sacerdote, ho una missione: come religioso, come cappuccino, l’osservanza perfetta ed amorosa della mia Regola e dei miei voti; come sacerdote la mia è una missione di propiziazione: propiziare Iddio nei confronti dell’umana famiglia.
La vocazione è il cammino tracciato da Dio a ogni uomo. Padre Pio volle santificarsi come religioso e come sacerdote, per santificare gli altri. La vocazione francescana e sacerdotale lo mise sulle orme di S. Francesco e di Gesù sommo sacerdote.
Per sessantacinque anni, infatti,egli fu figlio del Poverello d’Assisi, vivendo «nell’osservanza perfetta e amorosa» della Regola e morì dopo aver rinnovato per l’ultima volta la Professione dei suoi voti. Con quanto affetto e venerazione egli amava S. Francesco!
Si sforzò di imitare il Serafico Padre nell’ardentissimo amore a Gesù crocifisso, a Gesù bambino, a Gesù eucaristico, e cercò di imitarlo nella ricerca della «minorità», con quella sincera umiltà che gli faceva dire:
— Io sono il più grande peccatore del mondo.
Quando i suoi figli spirituali gli fecero calorosi auguri per i suoi sessant’anni di vita religiosa, egli rispose con uno scoppio di pianto:
— Sessant’anni di indegnità!
Che dire dell’amore di padre Pio per la povertà di S. Francesco? È stato detto che padre Pio era un santo… «pezzente e miliardario». È vero. I miliardi per la carità; a lui la povertà dell’umile convento e dell’umile cella che lo terranno chiuso per cinquantadue anni di fila.
Mai viaggi, niente evasioni o divertimenti, nessun agio o comodità. Per tanti anni egli ebbe il letto di tavole con il pagliericcio da smuovere ogni sera con un bastone!
E quando, negli ultimi anni, gli misero in cella il lavandino, il termosifone e un condizionatore d’aria, egli scongiurò che non voleva a nessun costo tali cose, e si lamentava con dolore:
— Che dirà il Serafico Padre?
Dell’ubbidienza di padre Pio basti dire che fu tutta la sua vita a metterne in risalto l’eroicità nelle prove molto dure a cui egli fu sottoposto. Sono di padre Pio queste espressioni scultoree, che dicono tutto sulla sua ubbidienza:
— Sono figlio dell’obbedienza. Se i miei superiori mi ordinano di buttarmi per la finestra, io non discuto, eseguo.
E il profumo dolce e forte che emanava dalla persona di padre Pio, non cantava e lodava, forse, la sua angelica castità?
Chi scrive ricorda che una volta, in mezzo alla folla, riuscì a baciare la spalla di padre Pio che passava lentamente, e ne restò inebriato da densissimo profumo.
Non era certo da approvare chi tentava di strappare, tagliare o portare via qualcosa dell’abito di padre Pio mentre passava tra la folla; ma come non comprendere che l’attrazione verso quell’abito francescano bagnato di sangue e di misterioso profumo era potente, a volte irresistibile?
Padre Pio stesso aveva un amore e una venerazione particolare per l’abito di S. Francesco che indossava. Arrivò perfino a considerarsi indegno di indossarlo, e una volta disse:
— Non so come quest’abito di S. Francesco che porto, non se ne scappi d’addosso.
Lo portava sempre, sia di giorno che di notte. Solo negli ultimi anni ebbe l’obbedienza di toglierselo per il riposo della notte. Ma voleva morire con l’abito addosso. E così morì. Come S. Francesco.
Conosciamo già, inoltre, l’amore particolarissimo di padre Pio verso la Madonna: amore tenero e ardente come quello del Serafico Padre. E sappiamo della sua speciale devozione a S. Michele Arcangelo e all’Angelo custode, anche in questo perfetto imitatore di S. Francesco.
Infine, ritroviamo in padre Pio un amore fervido e operoso per il Terz’Ordine francescano.
Egli fu direttore della fraternità terziaria di S. Maria delle Grazie, e considerava il Terz’Ordine, come scrisse in una lettera, un grande mezzo «perché l’umanità possa ritornare al lume della fede, ai sani principi della morale cristiana».