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INFERMIERI RIFIUTANO IL VACCINO E SI AMMALANO. L’INAIL: NO A RISARCIMENTO E INFORTUNIO SUL LAVORO?

27 Febbraio 2021
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Qual è la conseguenza della libera scelta del lavoratore che, potendolo fare, decida di non sottoporsi a vaccinazione e poi venga contagiato sul posto di lavoro?

Nelle prossime settimane giungerà la decisione dell’INAIL in merito ad un’istruttoria relativa al caso di alcuni infermieri di un ospedale di Genova che si sono ammalati dopo aver rifiutato il vaccino anti-covid. Una decisione che potrebbe avere ampia portata se estesa a tutte le categorie lavorative.

L’istruttoria è stata aperta dall’ente previdenziale a seguito della proposizione del quesito avanzata dal direttore amministrativo dell’ospedale in questione il quale si è trovato davanti all’alternativa se considerare “l’ammalarsi in corsia dopo il rifiuto del vaccino” quale infortunio sul lavoro (con tutto ciò che ne deriva in termini di tutele) o se considerare i lavoratori in semplice malattia.

Nell’attesa della decisione dell’INAIL occorre considerare che, nel caso in questione, la scelta degli infermieri di non vaccinarsi (mettendo tra l’altro in pericolo non solo la propria salute ma anche quella delle persone che sono chiamati a curare) ed il riconoscimento di un eventuale risarcimento rischia di creare un enorme paradosso giurisprudenziale. Quando ci si trova davanti a questioni inerenti agli infortuni sul lavoro, infatti, è necessario accertare se il datore di lavoro abbia adottato tutte le misure concrete ed idonee a prevenire infortuni in relazione all’attività lavorativa; ancora, se il lavoratore ha deciso di esporsi volontariamente ad un rischio aggiuntivo rispetto a quello in re ipsa, cioè insito nella natura stessa dell’attività che svolge.

Condizione preliminare del riconoscimento dell’infortunio sul lavoro è, ovviamente, la circostanza che l’infortunio (in questo caso il contagio) sia avvenuto in occasione della prestazione lavorativa.

In questo caso il danno patito dai lavoratori, pertanto, andrebbe considerato come conseguenza di un loro comportamento volontario e nonostante il loro datore avesse messo a disposizione le misure idonee ad evitarlo (o quantomeno a limitarlo fortemente in termini probabilistici). Misure deliberatamente rifiutate dagli infermieri. Da quanto si evince riconoscergli anche un risarcimento desterebbe non poche perplessità.

Secondo l’ex ministro del Lavoro Damiani, membro del C.d.A. dell’INAIL: “La soluzione migliore sarebbe una legge sull’obbligo di vaccinazione, almeno per alcune categorie”. Ancora, “chi decide di non vaccinarsi e svolge una mansione a rischio è logico non possa poi chiedere il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro, anzi, dovrebbe essere messo nelle condizioni di non essere un pericolo per sé e per gli altri, evitando il licenziamento, ma svolgendo mansioni che non hanno contatto con il pubblico”.

Onde evitare di sovraccaricare di responsabilità i datori di lavoro ed i giudici chiamati a pronunciarsi su eventuali ricorsi dei lavoratori, ci si auspica che il legislatore intervenga definitivamente e tempestivamente con una legge al fine di disciplinare la materia, soprattutto in riferimento a quelle categorie lavorative particolarmente esposte al rischio contagio (come il personale sanitario). Sono trascorsi 2 mesi dall’inizio delle prime somministrazioni dei vaccini ma il dibattito sull’obbligatorietà o meno delle stesse è ancora pienamente aperto.

Avv. Nicola Morcaldi

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