Di Avv. Nicola Morcaldi
Gli ostacoli che si incontrano ogni giorno sono più vicini di quanto si crede: i limiti e le barriere (intese in senso lato, dunque non solo architettoniche) che la società pone, non sono sempre e solo un problema per gli “altri”. E’ per questo motivo che i contesti che si vivono quotidianamente devono essere accoglienti ed accessibili a tutti, a prescindere da quelle che sono poi le esigenze dei singoli.
L’accessibilità deve essere la normalità, non l’eccezione.
Andando a ritroso, a livello europeo i primi cambiamenti tra le varie nazioni cominciarono a concretizzarsi solo nel 1981, quando venne istituito l’Anno internazionale delle Persone Disabili.
Negli anni a seguire, ci fu un notevole incremento delle iniziative volte a sensibilizzare gli operatori verso la tematica della difficoltà negli spostamenti delle persone con particolare esigenze.
Ciò, fino al 1997, quando un ulteriore passo in avanti venne compiuto col Trattato di Amsterdam, il quale all’art. 13 sancisce la possibilità per il Consiglio Europeo di prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.
Sulla scorta di quanto affermato dall’art. 13 del Trattato, negli anni a seguire (2000/2003) la Commissione Europea deliberò 2 comunicazioni, recanti il titolo “Verso un’Europa senza ostacoli per i disabili” e “Pari opportunità per le persone con disabilità: piano d’azione europeo”, ed aventi il fine di esaminare e rimuovere gli ostacoli reali ed effettivi che impedivano la partecipazione alla vita sociale delle persone disabili (intendendo con ciò persone affette dai disturbi più vari: motori, mentali, dell’udito, della parola, della vista).
In quegli stessi anni, precisamente nel 2002, durante il Congresso Europeo sulla disabilità si pensò alla Dichiarazione di Madrid allo scopo di riconoscere anche alle persone affette da disabilità gli stessi diritti fondamentali riconosciuti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Il target era dunque rappresentato ancora una volta dalla volontà di eliminare tutte quelle barriere che impedivano la piena partecipazione alla vita sociale. Barriere, in questo caso, non solo fisiche, ma anche e soprattutto barriere come la discriminazione ed i pregiudizi.
Venne inoltre proposto di istituire il 2003 quale “Anno Europeo dei Cittadini Disabili”, al fin di garantire una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Qualche anno dopo, nel 2006, venne approvata una specifica Convenzione ONU in materia di disabilità, composta da 50 articoli, valevoli come guide per garantire il diritto di uguaglianza e di inclusione sociale. Lo scopo della Convenzione: “Promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità”. E ancora: “Consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita”.
Con riguardo al quadro normativo in Italia, è d’obbligo partire da quanto sancito dalla Costituzione.
Già nel 1947 venne previsto, all’art. 3, che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, e che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione alla vita politica, economica e sociale del Paese”.
Ma a disciplinare in maniera puntuale la materia è il D.M. 236/1989 con relativa Legge 13/1989, inerente all’abbattimento delle barriere architettoniche sugli immobili.
Il decreto in questione indica con precisione termini e concetti, dettagli e parametri tecnici e dimensionali di edifici e spazi (es. caratteristiche delle rampe, delle porte, delle scale, ed altro). Il leitmotiv della normativa è chiaro: i nuovi edifici vanno costruiti secondo puntuali indicazioni tecniche, mentre i vecchi vanno adeguati.
Come non citare, inoltre, i P.E.B.A. (Piani per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche), introdotti con l’art. 32, comma 21 della legge n. 41/1986 e integrati con l’art. 24, comma 9 della legge n. 104/1992.
Tali Piani sono strumenti in grado di rimuovere i conflitti dell’uomo con i contesti sociali che vive ogni giorno, monitorando, progettando e pianificando tutti quegli interventi specifici finalizzati al raggiungimento della soglia ottimale di accessibilità di edifici e spazi urbani (l’inserimento degli spazi urbani è frutto, per l’appunto, della citata integrazione dell’art. 24, comma 9 della legge n. 104/1992).
Infine, negli ultimi anni, numerose sono state le iniziative che si sono susseguite non solo a livello governativo (da ultimo, l’introduzione nel bonus 110% degli interventi volti alla eliminazione delle barriere architettoniche) ma anche a livello regionale e comunale. Basti pensare all’istituzione della figura del “Garante per la disabilità” presso numerosi enti locali, nonché ai riconoscimenti (quasi delle certificazioni) a quelle città che si sono contraddistinte per un alto grado di accessibilità e dunque sono state etichettate come accessibili. Alcuni esempi sono Torino, Milano, Venezia. Quest’ultima, nonostante la particolare conformazione del territorio, ha stupito con ponti e strade accessibili a tutti e perfino gondole riadattate per ospitare carrozzine.
Ciò a riprova dell’enorme lavoro di sensibilizzazione che gli enti locali effettuano costantemente e quotidianamente sull’opinione pubblica.
La speranza è che da oggi, costruire una rampa, non sia più visto solo come rispetto delle norme di legge, ma come un dovere di ognuno.
Avv. Nicola Morcaldi