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24 Apr

Il dopo coronavirus le riflessioni di Antonio Urbano

Di Antonio Urbano
“Suggerimenti: La nostra esistenza e quella di chi ci circonda è stata irrimediabilmente segnata dalla pandemia del coronavirus. Il timore di essere colpiti o che sia colpito qualcuno dei nostri cari ci ha portato ad accettare regole di convivenza sociale che non immaginavamo ammissibili. Per due mesi si è stati costretti a cambiare il modo di vivere le relazioni amicali e amorose e la famiglia è ritornata ad essere il centro della nostra vita nel bene o nel male, come quando si era bambini. Gli spazi chiusi delle nostre case si sono trasformati in luoghi che se da un lato ci hanno permesso di “sopravvivere”, dall’altro hanno messo a dura prova la nostra capacità di sopravvivenza.
La riflessione che ti propongo verte su queste domande: che significato hanno avuto nel corso di questi due mesi la casa, la famiglia? Come è cambiato il tempo dedicato alle relazioni familiari rispetto a prima del lockdown? Quanto le relazioni amicali o amorose lontane e mantenute in piedi dalle tecnologie? Che ruolo ha avuto lo studio, l’impegno universitario nel dare senso a una normalità nuova.
Ti chiedo di riflettere con calma su questi aspetti, per capire se e come questo momento di sospensione pensi abbia cambiato la tua vita. “
Il dopo corona virus
Carissimo/a,
a te che leggerai questa mia testimonianza, spero che quando avrai concluso potrai aver capito ciò che è successo, e quali sono state le mie reazioni, emozioni, sentimenti e stati d’animo in questo breve, ma intenso periodo di novità.
Ricordi indelebili e attimi di suspense, momenti forti e significativi, o momenti di debolezza, incertezza e sicurezza, queste le antinomie che hanno caratterizzato la mia “sopravvivenza”, se così vogliamo chiamarla, anche se questo termine mi pare più appropriato assegnarlo a chi, in questa forte esperienza di vita, ha dovuto vivere attimi difficili, lottando contro un nemico invisibile, combattendo in una sala di terapia intensiva, legato e appeso ad un filo tra la vita e la morte. Considerazione questa che posso farla non solo per via dei fatti realmente accaduti, ma soprattutto dopo che il virus “invisibile” ha colpito l’intera famiglia dei miei zii e ha ucciso mia cugina autistica, di soli 36 anni. Cos’è la vita? Chi siamo noi, e come mai facciamo parte di questo mondo, qual è il nostro scopo? Cosa siamo noi se paragonati alla grande immensità che ci circonda? Com’è possibile che un micro-virus possa bloccare e mandare in tilt interi sistemi, stati, perfino quelli più moderni e sviluppati sotto diversi aspetti? Molte le domande sorte nella mia mente in questo periodo, e questo ha fatto si che potessi sviluppare ancora di più quella riflessività, e quel pensiero critico che oggi dovrebbe essere alla base di ogni cittadino, affinché faccia del cittadino stesso, un soggetto attivo, partecipe, e caratterizzato da agentività. Sintomo questo, si di curiosità che tende a cercare delle risposte a delle domande che sorgono spontanee quando si vivono determinate esperienze, ma anche segnale di incertezza e preoccupazione, su un presente e un futuro incerto, indefinito.
“Non ci sarà più una zona rossa, ma tutta l’Italia diventerà zona protetta” (09/03/20), con queste parole, il premier Giuseppe Conte annunciava la chiusura totale, il fatidico lockdown, dell’Italia intera, ricordo ancora quando sentii quelle parole, ero in giro con i miei amici ad ascoltare con attenzione la comunicazione del premier tramite un cellulare, in una San Giovanni Rotondo già deserta nell’orario serale. Già un’ora prima aleggiava il dubbio nella mia famiglia, se si potesse uscire o meno di casa, e appena il discorso del premier si concluse, io e miei amici tornammo a casa preoccupati, ci chiedevamo che cosa ne sarebbe stato di noi, ma nello stesso momento facemmo una promessa: dovevamo continuare a sentirci, in un qualunque modo.
Ed ecco che un nuovo giorno si apprestava a sorgere, il primo giorno di quarantena “obbligata” in casa, non tutti nella mia città, afferrarono da subito ciò che il premier aveva comunicato alla nazione la sera prima, ma io e la mia famiglia, dovevamo applicare e rispettare da subito le nuove norme, consapevoli di poter essere vettori per mia madre, soggetto immunodepresso per via di cure oncologiche e chemio ad alte dosi.

URBANO ANTONIO
E quindi un senso di responsabilità assalì il mio essere, non potevo uscire per amore di mia madre, dovevo e dovevamo tutelarla a tutti i costi, ancor prima di tutelare noi stessi. Quando poi arrivò la notizia che la famiglia dei miei zii era stata infettata qualcosa in me cambiò, mi sentivo fortemente turbato e un senso di angoscia e paura caratterizzò le mie giornate, giornate che tra l’altro venivano trascorse esclusivamente in casa. La casa, potremmo dare una definizione di casa, ovviamente del tutto soggettiva, perché la casa è il luogo delle prime interazioni, condivisioni, e quindi è un luogo prettamente familiare per me, luogo che si è rivelato protezione, rifugio ma anche a volte luogo di oppressione. E’ questo il primo binomio da analizzare: casa come famiglia, e quindi amore genitoriale e fraterno, o casa come gabbia? Certo interrompere all’improvviso tutte le nostre abitudini di socializzazione ha provocato dei cambiamenti inevitabili, ma dobbiamo porre uno sguardo clinico e quindi ravvicinato alla questione casa-famiglia. Indubbiamente vivere 24 ore su 24 con la propria famiglia, ti porta a fare delle nuove considerazioni che prima non potevi mai immaginare di poter fare, come ad esempio riscopri delle passioni dei genitori e delle personalità che vanno oltre al mero ruolo di genitore, ci collabori di più, ma ci litighi anche di più(per fortuna questo non è successo a me, ma a mio fratello), evento inevitabile –litigare- perché dipeso dall’interazione di diverse personalità che abitano lo stesso luogo, ed è proprio qui che mi sono riscoperto ancor di più “mediatore/moderatore”, perché quando qualcuno litiga in una famiglia ci deve essere a tutti i costi qualcuno che debba ricompattare e ricomporre i “pezzi del puzzle” familiare. Soprattutto se poi lo spazio abitato è stretto, alcune volte ci si sente oppressi, ad esempio nella mia casa non c’è uno spazio adibito allo studio e quindi l’unico luogo adibito per sostenere una didattica online è il soggiorno/cucina, e questo implica quindi determinate costrizioni e restrizioni. Alcuni problemi si, ma futili, se paragonati a chi non ha neanche un mezzo per potersi collegare sulla piattaforma e-learning. Bisogna quindi sempre essere ottimisti, scrutare l’orizzonte e sperare in una luce, anche quando il “buio” ci assale. Posso quindi affermare che in questo periodo c’ è stata una nuova conoscenza della mia famiglia, e devo dire che… tutto sommato sono delle brave persone 😀 . Amo la mia famiglia, e sempre sarò grato a chi mi ama e ha fatto e continua a fare sacrifici, per il bene comune.
Voglio però tornare su un tema già lievemente affrontato in precedenza, l’amicizia. Grazie ad un uso competente delle nuove tecnologie siamo riusciti a tener fede alla nostra promessa, ogni giorno ci scriviamo e ci sentiamo con chiamate e videochiamate. Questo è un esempio che ci fa capire come la tecnologia , se utilizzata nelle giuste maniere, è un efficace strumento che può accorciare notevolmente le distanze(ovviamente ogni tipo di relazione virtuale, è dal mio punto di vista incompleta e falsata), aspettando tempi migliori.
Notevole è stato il sostegno che ho ricercato nelle mie passioni (la musica più di tutte) per cercare di infondere armonia e allegria non solo in me, ma anche in chi mi fosse affianco e a tutti gli amici e conoscenti che mi seguono attraverso social e piattaforme di comunicazioni. La musica salva l’anima. E allora via con O’ sole mio, La tarantella della quarantena, Stamece arreterate(restiamo a casa), Adda passà(deve passare), questi alcuni brani e canzoni interpretati e composti in questo periodo, e alcuni come La vita è bella, fonte di gemellaggio con italiani emigrati in America. Ponti, dunque, reti di relazioni che in questo periodo si rafforzano e si integrano a pieno con la nuova tecnologia.
Non solo le passioni hanno riempito le mie giornate, ma anche lo studio. Con l’innesto delle nuove tecnologie riguardanti la didattica, avvenuto in questo periodo si è riusciti, in qualche modo, a salvaguardare il diritto allo studio e all’istruzione di molti ragazzi, tra cui io. Come studente universitario mi sembra d’obbligo dover poter esternare il mio pensiero critico su come la didattica online abbia caratterizzato e influenzato la nuova normalità. Essere uno studente universitario, soprattutto se studente di scienze dell’educazione, significa avere enormi responsabilità nei confronti di se stessi e nei confronti degli altri. Sono fiero di essere uno studente dell’università di Foggia, la quale ci ha consentito di non perdere il passo, e contestualmente di farci riflettere e confrontare con una nuova realtà, che secondo me è la realtà del futuro-presente.

URBANO ANTONIO
Si perché mentre una parte di me rifletteva su come si potesse rendere universale la didattica online, dati gli ostacoli presenti nelle famiglie in difficoltà, l’altra parte di me ragionava, e pensava ad un futuro non troppo lontano da ciò che c’è oggi: potrebbe essere la didattica online un nuovo strumento di formazione efficace e completo? Di certo passare ad un uso spropositato, come è avvenuto in questo periodo, e cercare di adattarsi a convivere con la tecnologia non è affatto facile, specie quando non si posseggono quelle competenze informatiche che la società contemporanea richiede. Attività piene di significato, proprio come questa “storia di vita” che stai leggendo, è questo quello che l’università dovrebbe promuovere con la sua mission. Ed ecco perché noi come studenti, dovremmo essere persone critiche e pro-attive al confronto, alla critica, alla condivisione. Quindi anche in questo caso, lo studio ha caratterizzato fortemente le nostre vite, ci si è dovuti adattare a nuovi schemi, nuove piattaforme, che hanno fatto si che le nostre giornate fossero piene di attività, magari per portare il nostro sguardo su qualcos’altro, o anche semplicemente per farci distrarre da una monotonia che, aimè, potrebbe diventare cronica se non si ha la capacità e la voglia di dover riprendere una normalità desiderata.
Negoziazione di luoghi e di pensieri, attività laboratoriali a distanza, condivisione di lavori, hanno fatto si che il livello della didattica dell’università di Foggia raggiungesse un livello ottimale, come descrive una classifica nazionale riguardante le migliori università “attrezzate” per la didattica online.
Qualcosa è successo, qualcosa è avvenuto, qualcosa sta cambiando e ci sta cambiando, dobbiamo essere consapevoli e pronti a tutto, d’altronde se pensassimo a ciò che hanno vissuto i nostri nonni in tempi di guerra, oggi possiamo ritenerci fortunati. Ma questo non deve sminuire la forte valenza e il forte impatto psico-socio-culturale-economico che ha avuto questo virus nei confronti degli esseri umani.
Una nuova umanità sta per sorgere, e se volessimo indossare dei “paraocchi da cavallo” per non accettare i dolori e le sofferenze di questo periodo, saremmo solo dei negazionisti, e vuol dire che non abbiamo imparato nulla. Dobbiamo invece riscoprire l’essenza di essere umani, e di poterci aiutare l’uno con l’altro sempre, non solo nei momenti di difficoltà… e forse così raggiungeremo un mondo migliore.
Queste le mie considerazioni, la mia testimonianza, che potrebbe anche continuare, ma voglio fermarmi qui per dare motivo, a te che hai letto questo mio racconto, di avere quella curiosità che possa permetterti di ripensarti in questo momento e di far mettere in moto dentro il tuo cuore, tutti quei meccanismi di sensibilità umana, che deve tendere ad una imperfetta carità, utopicamente e pedagogicamente parlando.
Sii responsabile, rendi la tua vita un’eccellente campo di produzione caritatevole.
Un abbraccio,
Antonio Urbano 14/05/2020

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