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23 Nov

I terapeuti e il sostegno psicologico: di Lio Fiorentino

CONTINUA CON IL NOSTRO MAGAZINE, UNA COLLABORAZIONE PROFESSIONALE CON LO PSICOTERAPEUTA PUGLIESE, LIO FIORENTINO, SAGGISTA, SCRITTORE E POETA, CHE ARRICCHIRÀ DI CERTO IL PARTERRE  CULTURALE DEL PALINSESTO, CORROBORATO GIÀ DALLA SUA PRESENZA ANCHE IN RADIO, ATTRAVERSO LE PILLOLE DI PSICOLOGIA DEL FINE SETTIMANA
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Spesso noi terapeuti ci accorgiamo, durante la pratica clinica, che parlare di sostegno psicologico o di cura esplorativa risulta essere una distinzione di comodo che viene esplicitata ai non addetti ai lavori per pura semplificazione. Ma la clinica psicoterapica è un’altra cosa, cioè i due tipi di intervento a volte si intersecano e/o si sovrappongono a seconda del paziente con cui ci interfacciamo. È sempre auspicabile, una volta individuata l’analisi della domanda, capire nel soggetto il suo livello d’ansia o di angoscia, libera o ben circoscritta, e comprendere altresì l’eventuale presenza di comportamenti o atteggiamenti regressivi nel paziente.

Di certo la psicoterapia di “scopertura” esplorativa per intenderci, e quella di sostegno di orientamento psicoanalitico, hanno in comune l’irrobustimento delle funzioni dell’Io, vale a dire un miglior adattamento alla vita, mentre ciò che le differenzia è che la prima svela contenuti inconsci, la seconda li deve necessariamente proteggere. Le terapie del profondo implicano un cambiamento strutturale, a volte di ricostruzione della personalità, quelle di sostegno puntano all’omeostasi. Ecco dove sta la grandezza del terapeuta: capire questi confini sottili che inducono a pensare che la psicoterapia è un’arte sublime, a pochi riservata.

Ma in tutto questo dov’è il terapeuta? Se nella psicoterapia di tipo esplorativo il lavoro del clinico è teso a potenziare il transfert, frustrando il paziente con poca gratificazione, nella psicoterapia di sostegno innanzitutto la seduta avviene vis a vis (benché sembra ormai superato il teatrino del lettino analitico a tutti i costi),il paziente va più gratificato ed incoraggiato su un piano di realtà, offrendogli anche consigli, insomma va dato al paziente un io ausiliario. Il transfert pertanto, nella terapia esplorativa serve a comprendere i vissuti e i contenuti del paziente, ad interpretare i sogni per esempio, e tutto va nel solco dell’incoraggiare le letture oniriche e simboliche, i lapsus ecc. Nel sostegno psicoterapico, invece ,il transfert (in genere positivo) non viene interpretato, lo si lascia lì come materiale utilizzabile all’occorrenza, eventualmente.

Qualcuno che sostiene che il transfert serve per “accrescere il potere del terapeuta” (R. Di Donato, 2002). Le terapie esplorative servono a pazienti con strutture di personalità abbastanza integre che hanno disturbi passeggeri, spesso reversibili (per esempio lutti, frustrazioni lavorative, crisi di coppia, depressioni reattive ecc.,), mentre le terapie di sostegno si utilizzano per pazienti che non mirano ad una conoscenza profonda di sé, ma solo alla risoluzione della sintomatologia (per esempio pazienti psicosomatici, alessitimici o con pensiero di tipo pratico-concreto). Come principio generale è sempre corretto fare un’attenta analisi della domanda (R. Carli) e una buona psicodiagnosi (C. Saraceni, G. Montesarchio ed altri), poi si potrà decidere che tipo di psicoterapia usare. E se non è una tua specialità fare l’invio ad uno/a psicoterapeuta più specifico, ricorda che i bagni di umiltà nel nostro campo professionale non fanno mai male. Caso clinico di psicoterapia di sostegno.

La sig.ra K, di anni 46, coniugata con figli ,lavora da anni e con passione nel campo sanitario. Soffre da qualche anno di fobie di tipo nevrotico, diciamo così, che da tempo limitano la sua libertà di azione e movimento sul territorio e nella vita di relazione. Sviluppa sintomi fobici persistenti (paura di guidare, paura di spostarsi dalla propria città d’origine). Effettua una psicoterapia presso un noto collega della zona (medico-psicoterapeuta), che dopo un lieve appoggio farmacologico, a base di ansiolitici, la aiuta, dopo un anno di terapia, a viaggiare e a riprendere a guidare. Contestualmente, tuttavia, la paziente viene demansionata dal posto di lavoro; comunque finisce la psicoterapia con successo e la sua vita procede senza più fobie ne’ farmaci. Si ripresenta da me lo scorso autunno per ripresenza di sintomi fobici, otto anni dopo la prima psicoterapia, lamentando sintomi fobici più pesanti questa volta: paura di crolli improvvisi dell’asfalto che calpesta, fobia di essere folgorata da un fulmine, fobia di esplosioni improvvise in casa e vicino al suo domicilio. A questo si aggiungono difficoltà ad avere rapporti sessuali, come se la sua vagina “si rompesse” o si bucasse.

È evidente che queste sono fobie di origine psicotica e che la paziente ha un evidente buco del “sè”, conferma che trovo nel Rorschach. La sig. ra K praticamente ha un pezzo della sua psiche “folle”, che ulteriormente le limita la vita di relazione e la fa ruminare continuamente su catastrofi che possono sconvolgere soprattutto la sua famiglia. Le propongo training autogeno da fare anche a casa e appoggio farmacologico da uno psichiatra di mia fiducia, che le prescrive un antipsicotico e un antidepressivo che a me sono utili per andare più nel profondo, nell’inconscio della paziente. Impiego un po’ di tempo per convincerla a prendere gli psicofarmaci (nella precedente psicoterapia li prese per pochissimo tempo, e non ne vedeva l’utilità), banalizzandoli ed evidenziando che quegli psicofarmaci hanno meno effetti collaterali. È lampante che il training autogeno mi ha aiutato a farla rilassare e ad abbassare la sintomatologia fobica; penso inizialmente ad un trattamento esplorativo, ma analizzando il suo mondo onirico traspaiono contenuti di morte e di lutti pregressi mai elaborati e troppo dolorosi in una paziente con tratti psicotici.

Allora penso di virare ad una psicoterapia di sostegno, avvalendomi dell’ aiuto dello psichiatra e togliendo ogni interpretazione dei sogni, che non va fatta per evitare scompensi nella paziente. I sogni attuali virano su contenuti in cui lei vuole protezione (mantelli, sciarpe, cappelli che l’avvolgono in un senso di protezione), sogna di vendere i suoi prodotti (abiti, abbigliamento che la proteggono), ed io non interpreto nulla a lei ,ma la incoraggio a leggerli e mi dice che sono bei sogni. Si sente accudita con altri sogni (transfert col terapeuta), cioè con me. Attualmente, in tempo di Covid-19, non ha nessuna paura psicotica verso il virus. Ma è ovvio per me: la sto incoraggiando su un piano pratico ad affrontare le paure varie già citate di esplosioni. E ce la fa. Chiaramente non affronterò con lei l’assenza d’intimità col coniuge ,in primis perché per lei questo non rappresenta un problema, in secundis perché probabilmente spesso i coniugi di questi pazienti soffrono d’impotenza. Anche in questo caso nessuna scopertura dei vissuti né interpretazione, come si deve fare nel sostegno psicoterapico ad orientamento analitico.

Questo è un esempio di psicoterapia di sostegno ad orientamento analitico. E non finisce qui…In questa professione ,tra le più belle del mondo,servono atti di grande umiltà. “Vuoi essere un grande? Comincia con l’essere piccolo. Vuoi erigere un edificio che arrivi fino al cielo? Costruisci prima le fondamenta dell’umiltà” (S.Agostino). Lio Fiorentino Psicologo Psicoterapeuta

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