In questo periodo di quarantena che stiamo vivendo il pensiero più comune che assilla le nostre menti può essere quello espresso dalla celebre battuta del grandissimo maestro Eduardo De Filippo “Adda passa’ a nuttata”.
Tale pensiero è inevitabilmente presente in tutti coloro che trascorrono nelle loro mura domestiche il lento susseguirsi di intere giornate immersi nelle più svariate attività e passioni talvolta sopite nel tempo e in coloro che vivono forzatamente lontano dai loro affetti famigliari per esigenze di studio o di lavoro e che ardentemente vorrebbero riabbracciare, ma nello stesso tempo è anche presente in quelli che sono costretti a prestare la loro preziosa e necessaria attività lavorativa nei vari settori operativi della società, dalla sanità, alla pubblica sicurezza, ai trasporti, agli alimentari e così via.
I primi perché privati delle proprie libertà di movimento, delle proprie azioni ed in generale di quel complesso di relazioni che aveva caratterizzato il loro vivere quotidiano. I secondi, a maggior ragione, oppressi e stressati dai ritmi estenuanti imposti dall’emergenza e dall’auspicata ricerca di una routine normale della loro vita lavorativa e famigliare.
Tutti però, consapevoli di affrontare un nemico minaccioso ed invisibile che ha deciso di sconvolgere le nostre vite e le nostre sicurezze e, di conseguenza, disposti a combatterlo con le poche ma importantissime armi che possediamo: la forza dell’unione, lo spirito di sacrificio e la capacità di adattamento.
Non solo il nostro Paese ma tutto il mondo è sotto tiro del nemico. Paesi ad economie avanzate e Paesi sottosviluppati, nazioni potenti e deboli, uomini ricchi e poveri, giovani e anziani.
Senza differenze, anzi se proprio vogliamo cogliere delle differenze possiamo osservare che il nemico si è mostrato ancor più agguerrito contro quei territori e Paesi cosiddetti ad economie avanzate e tecnologicamente all’avanguardia.
Oggi non ci resta che combattere questa battaglia e ascoltare quotidianamente l’amaro e triste bollettino di contagiati e deceduti. Alla fine come in tutte le guerre che si rispettano non ci saranno né vinti né vincitori.
Né tantomeno, in caso di sconfitta del nemico, ci sarà da festeggiare. Ma come sempre ci sarà un domani.
Un domani che lascerà grosse ferite e vistose cicatrici nelle nostre vite e nelle relazioni di tutti i giorni che richiederanno inevitabilmente del tempo affinché possano essere curate ed emarginate.
Ma potremmo ritenerci guariti e immuni solo nel caso in cui i nostri governanti riusciranno a comprendere i grossolani errori che sono stati commessi nelle loro scelte economiche, sanitarie e ambientali e indirizzare la propria azione verso nuovi modelli di sviluppo equo e sostenibile e noi tutti essere consapevoli della necessità di adottare uno stile di vita diverso, rispettoso e solidale con gli altri e verso la madre terra che ci ospita.
Un domani che ci auguriamo migliore e che venga al più presto possibile.
Di Pietro Urbano