Cari fratelli e sorelle dell’arcidiocesi, stiamo vivendo una Quaresima sconvolgente e speciale, di cui, al di là della data rituale della Pasqua (12 aprile), ci pare di non vederne il termine.
Vorrei subito assicurarvi che, comunque sia il percorso del tempo, la Pasqua arriverà, e sarà Risurrezione.
La Quaresima è tempo provvisorio, anche se chiede un percorso lungo per la nostra percezione psicologica e spirituale, mentre la Pasqua è definitiva e stabile.
Non lasciamoci prendere dall’angoscia: il Signore ci chiama ed accompagna alla Risurrezione anche nella stagione segnata dalla pandemia del coronavirus! Il vedere i nostri edifici di culto “svuotati” dalla presenza del popolo santo di Dio, “ci umilia” nelle nostre aspettative ed impegni pastorali.
Tuttavia possiamo leggere quest’esperienza di “vuoto” ed “umiliazione” alla luce dell’inno cristologico della lettera di Paolo ai Filippesi e ci accorgeremo che è stata proprio questa via, quella dello “svuotarsi” ed “umiliarsi”, che ha condotto Gesù, il Messia, dal seno della Trinità alla carne dell’umanità.
È l’esperienza dell’incarnazione del Verbo quella che stiamo provando, nonostante il peso e lo sconforto dell’assenza dei Sacramenti.
Mi permetto di osservare che, ci potranno mancare momentaneamente i riti santi e gli stessi Sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, ma di certo non ci mancherà mai la comunione e la Carità, che sono il distintivo del discepolo-missionario del Signore e che dicono il nome e la presenza stessa di Dio in mezzo a noi, in ogni circostanza e situazione.
Ne sono testimonianza il lavoro accresciutosi della Caritas diocesana e di quelle parrocchiali, come l’impegno di tante persone apertesi al volontariato per soccorrere ed aiutare. Non è forse proprio il soccorrere e l’aiutare l’opera stessa di Gesù verso l’umanità bisognosa di redenzione?
Ne sono testimonianza i nostri “focolari famigliari”, che costretti a situazione di quasi “clausura”, ritrovano l’affiatamento ed il tempo delle relazioni più profonde e sincere, accompagnate dalla riscoperta anche della preghiera insieme e del sentirsi benedetti a vicenda dentro lo spazio “ristretto” della propria casa.
Non potrebbe essere questa l’occasione favorevole per riscoprire la cellula originale della Chiesa e della parrocchia (= casa tra le case), che sta nella famiglia e ovunque “due o tre persone sono riunite nel nome di Cristo”? Abbiamo trascorso le domeniche quaresimali accompagnati da particolari personaggi evangelici. Se facciamo attenzione anche noi stiamo provando i loro stessi sentimenti, ed abbiamo la certezza della cura e compassione che il Signore Gesù ci sta procurando.
Come la Samaritana proviamo arsura per la mancanza d’acqua che disseta nel profondo la nostra vita. Facciamo attenzione, il Signore è già seduto accanto al pozzo dove noi ci sforziamo di attingere, lasciamoci coinvolgere dalla sua provocante richiesta e la nostra sete si placherà. Come il cieco nato ci sembra di non aver aiuto per scendere a lavarci nella piscina e ritrovare la vista.
Ascoltiamo la voce di Signore che ci interpella smascherando la nostra cecità, ed avremo sufficiente luce per attraversare questa prova epocale, come pure tutte le prove che la vita ci presenta, senza rischiare di andare a sbattere contro l’ignoto e l’imprevisto.
Come Marta e Maria alla morte del fratello Lazzaro, pur conoscendo la dottrina della nostra religione, abbiamo la mente offuscata ed il cuore chiuso incapace di trasformare la corretta conoscenza della verità religiosa in fede. Superiamo le convinzioni, che con facilità si trasformano in pregiudizi, ed abbiamo il coraggio di vedere i segni della Risurrezione davanti ad un sepolcro chiuso da “ormai quattro giorni”.
Ascoltiamo l’amore del Signore che si fa pianto e commozione, e inizieremo a percepire non il fetore della morte, ma il profumo della vita che rinasce.
Cari fratelli e sorelle,
è un’esperienza di forte e cruda precarietà, quella che stiamo vivendo in questi giorni in compagnia di ogni essere umano, anche di chi fa fatica a credere o non crede. Noi cristiani sappiamo che “precarietà” e “preghiera” hanno la stessa origine etimologica.
Facciamoci allora “preghiera” per l’intera umanità, e viviamo il senso di “precarietà”, che ci tocca nella carne, come partecipazione alla Croce di Cristo e della sua stessa creazione che “soffre nelle doglie del parto”! Saremo Carità, che “di tutte è la più grande virtù” e collaboreremo a “completare quanto manca alla Passione di Cristo” che stiamo contemplando nel dramma imposto dalla pandemia.
Pur nel peso ed incertezza del momento, l’esodo verso la vittoria sul virus non è ancora completato, voglio farvi giungere comunque l’augurio di BUONA PASQUA, certo che Cristo è veramente Risorto e “ci precede in Galilea”!
+ p. Franco Moscone crs
Arcivescovo