Di Francesca Piano
Ho chiuso tutto. Dopo venti giorni di isolamento forzato, la ricerca spasmodica di notizie, la frenesia bulimica di informazioni (incomprensibile anche per chi come me lo fa di mestiere) ho detto basta. Un corto circuito ogni tanto è lecito.
Sembra di vivere in una realtà distopica o in una pellicola surrealista di Buñuel eppure è tutto vero. Ci affanniamo per saperne di più, ma l’unica verità è che navighiamo a vista. Un mese e mezzo fa ho scritto un articolo sul coronavirus che a rileggerlo ora mette solo imbarazzo. E’ così. La situazione cambia in maniera repentina. E molto dipende da noi. Dal nostro senso di responsabilità.
Abbiamo visto tutti i video di quelle persone scellerate che partivano da Milano per tornare al Sud o di quei giovani che, in barba ad ogni disposizione, affollavano i consueti luoghi di ritrovo perché tanto “a me non tocca”. Probabilmente solo Cicerone potrebbe aggiungere qualcosa di nuovo agli improperi che noi tutti abbiamo lanciato nei confronti di questi virgulti.
Siamo tutti nervosi, dicono perché “ci sentiamo più fragili”. Non mi piace questa frase, è un evergreen buono per tutte le stagioni, fa sempre presa, ma non dice nulla. Io, per esempio, non mi sento affatto fragile, ho mille emozioni che si alternano in competizione tra loro. La fragilità, invece, sta lì ad un angolo, ogni tanto mi fa un occhiolino, ma io faccio finta di nulla.
Credo che tutto sia da ricondurre alla paura per chi si ama e al cambiamento violento delle nostre abitudini. Il lavoro ad esempio. In televisione e sui giornali parlano molto di “lavorare da casa”. Una soluzione certo, ma veramente per pochi. Ci sono professioni decisamente incompatibili con le mura domestiche e per tutte le altre c’è un piacevolissimo intoppo: i bambini sono a casa con noi. Avete mai provato a lavorare mentre vostra figlia, convinta di essere ad Arendelle, canta per l’ennesima volta “All’alba sorgerò” e contemporaneamente vostro figlio trasforma il muro della cucina in un quadro di Pollock con la salsa di pomodoro? Ecco. Certo basta organizzarsi ( altro evergreen!), ma è più facile a dirsi che a farsi.
Gli esperti consigliano di mollare tutto e godersi questi rari momenti familiari e non pensarci troppo. Non pensarci troppo va bene, ma è comprensibile avere timore per una situazione economica dagli scenari imprevedibili. Io però rimango convinta di una cosa: gli italiani sembrano l’armata Brancaleone, ma alla fine fanno emergere risorse insperate. Ce la faremo.
Eppure, in tutta onestà, la fonte primaria della mia angoscia non è la situazione economica, ma quella sanitaria. Il mio pensiero va a quei pezzettini di cuore che ho sparso per l’Italia, alcuni decisamente malmessi, altri in camice bianco e mascherina altri ancora con una vita in grembo a ricordare che c’è un futuro e che fra qualche mese avremo nuove cose per cui gioire.
Ad oggi ci rimane solo la videochiamata come gesto d’amore estremo, per abbracciarci con lo sguardo e raccontarci qualche bugia. Perché non è vero che qui va tutto bene, ma quel treno non posso proprio prenderlo.