Di Nicola Morcaldi
Nell’era in cui la parola “globalizzazione” permea qualsiasi aspetto delle nostre vite come mai avvenuto finora, va sempre più sviluppandosi la concezione del Mondo come “unico paese”.
Siamo la generazione Erasmus d’altronde, no? Eppure paradossalmente, all’aumento smisurato della globalizzazione è andato al contempo affiancandosi un maggior attaccamento ai propri territori, alle proprie radici.
I due fenomeni tuttavia non sono in contrasto tra loro, ma anzi se fino a poco fa sembravano due rette parallele destinate a non incontrarsi mai, oggi non è più così.
La globalizzazione, a dispetto di quello che credevano molti scettici, i quali temevano una perdita d’identità territoriale e culturale, ha suscitato in quelle che sono le “periferie” del paese una serie di reazioni volte a cercare fortemente quell’attaccamento ai propri valori che da qualche decennio andava via via scemando.
La globalizzazione, in sostanza, ha dato l’opportunità agli utenti e agli operatori di ogni singolo territorio di comprendere l’importanza della “specificità”, di quanto sia importante ragionare in un’ottica di valorizzazione delle peculiarità che contraddistinguono un determinato territorio.
Gli operatori pubblici e privati che occupano un determinato spazio comune sono ormai equiparati agli operatori di una qualsiasi impresa, dove l’impresa è identificata nel territorio stesso, e l’imprenditore nelle amministrazioni centrali.
A capo di questa impresa dovrebbe esservi dunque un’amministrazione pubblica che, a prescindere dal proprio indirizzo politico, in maniera razionale e consapevole dovrebbe avere interesse a valorizzare il proprio territorio, il quale andrebbe a concorrere così nel “mercato” con altri territori.
Spesso tuttavia accade che ampi territori vengano surclassati a livello economico da altri decisamente più piccoli o addirittura con minori potenzialità.
Ciò è dovuto ad una scarsa valorizzazione delle proprie risorse, ad una mentalità capace di ragionare esclusivamente per compartimenti stagni e nel breve periodo, senza soluzione di continuità tra una politica e l’altra, laddove al contrario per consentire un incremento economico territoriale diventerebbe essenziale saper comunicare all’esterno le ricchezze del territorio, appoggiare la realizzazione delle vocazioni imprenditoriali locali, identificare possibilità di business tali da attirare capitali esterni, valorizzare i carismi locali e così via.
Tutti questi “operatori”, andrebbero coordinati dalle amministrazioni locali in un’ottica di condivisione degli obiettivi.
Ogni operatore dovrebbe sì guardare al proprio orto, ma sentirsi parte di una “mission” comune, ma tutto ciò non è possibile se l’imprenditore, cioè una valida amministrazione locale, viene a mancare.
Ma precisamente cosa si intende per valorizzazione? Nella maggior parte dei casi, si intende una promozione “sterile” di ciò che si ha e si può offrire, ma quella che spesso manca è una vera politica di marketing territoriale intesa a predisporre una specifica e definita attività di pianificazione strategica nel medio-lungo periodo, nella quale l’amministrazione centrale, i singoli operatori e stakeholders presenti su un territorio operano secondo una condivisa e coordinata strategia volta al perseguimento di obiettivi comuni.
Ecco una breve considerazione…poche righe all’alba nell’ennesima campagna elettorale. Speriamo bene.