A San Giovanni rotondo spesso ci si affidava alla divinazione, alla fortuna o alla naturaper capire le sorti sentimentali di una persona. Vi sono diversi racconti a proposito. Oggi ve ne proponiamo uno in particolare.
Le ragazze, prima di andare a dormire, mettevano sotto il cuscino tre fave, avvolte ciascuna in una pezzuola o con la carta, una sgusciata, una priva del nasello e l’altra intatta. Al risveglio, mettevano la mano sotto al cuscino e tiravano fuori uno dei piccoli involti.
Se avevano pescato quello senza buccia il marito sarebbe stato povero, quello senza nasello doveva appartenere al ceto medio; fortunate se pescavano quella intatta, perché era un preludio di una buona sorte e di una vita molto agiata. Il presagio di trovar marito, lo si poteva scoprire anche ila Domenica delle Palme, quando s’interrogava la foglia dell’ulivo benedetto messa sui carboni accesi: se questa, scoppiettando si capovolgeva, la risposta era di ottimo augurio, se invece si accartocciava bruciava, non c’era possibilità di sposare il giovane a cui ci si legava sentimentalmente. Allo stesso modo si chiedeva alla foglia se il fidanzato o la fidanzata le voleva bene e se le era fedele.
Comportamenti particolari si verificavano anche quando avveniva l’incontro tra gli ignari innamorati: La ragazza, quando si vedeva avvicinata dal giovanotto, a cui in qualche modo aveva fatto capire la sua simpatia ,si dimostrava maliziosamente timida, ritrosa e anche scontrosa, cercando di sfuggirli allungando il passo. Furbizie femminili erano gli atteggiamenti più consoni per attirarlo e legarlo maggiormente a sé.
La ragazza si svicolava,il ragazzo non sempre riusciva a dirle qualcosa ed evitando di passare le vie troppo illuminate cercava, per rientrare, il tragitto più breve. Il giovanotto non demordeva, si faceva notare continuamente vicino alla casa, e la sera, insieme a qualche amico, che sapeva suonare e cantare, portava la serenata. Difficilmente lei si affacciava al balcone o alla finestra, ma sbirciava tra le fessure dell’imposta da cui lasciava uscire la fievole luce della stanza.
Una poesia della tradizione:
Vagliola mia, quanta si bella, chiu bella dellu cele cu lli stelle!
Tine li mane gghianche com lu latte, tin la luna lustrante int lu pette.
Beate quedda mamma che t’ha fatte, che t’ha anghiute d’amore e d’ogne affette.
Se pe stuta lu foche ce vole l’acqua, per scucchià l’amore c vo la morte.