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29 Mar

Festa del papà. I padri tra parole assenti e silenzi mancati

 

di Michele Illiceto

La nascita è l’incontro di due consegne. Tra il padre che dà e il figlio che riceve. La consegna del padre responsabilizza il figlio a consegnarsi a sua volta. Solo che spesso i padri si rifiutano. Padri che non sanno consegnarsi e che difficilmente aiuteranno i figli a farlo a loro volta.

Per un figlio avere un padre è sapere che viene da un altro. Che non nasci da un abbandono, ma da un dono. Che sei in debito con qualcuno che ti chiede di restituire ciò che hai ricevuto dando credito alla vita che non finisce con te. Vieni da un altro e sei fatto per un altro. La paternità che fonda la figliolanza a sua volta permette alla figliolanza di aprirsi alla fraternità. Alla socialità.

Accettando di venire dal padre, il figlio fa esperienza del limite. Non un limite che castra, ma un limite che umanizza e che genera relazioni. Entro il perimetro di questo limite, il suo desiderio non sarà mai mortale.

Non si nasce solo dalla carne, ma anche dal linguaggio, dalle parole giuste che sappiamo dare. Di quali parole hanno bisogno i figli? Le parole della consegna e non tanto della trasmissione

C’è un debito delle parole che si chiama linguaggio. Una parola di solito nasce sempre da un incontro, da una carezza, da un cuore che si riversa in una lacrima di dolore. Da un volto che chiede luce oltre i confini dell’apparenza, perché le parole rendono eterni gli attimi che le ospitano. Per i figli le parole sono grembi vuoti che hanno partorito significati lontani, estranei, significati inesplorati, senza più dimore né segni capaci di farli nascere di nuovo.

Ci sono momenti in cui il padre deve parlare e momenti in cui deve anche saper tacere per permettere al figlio di farsi lui stesso parola. Per liberare le parole che si porta dentro, per assaporare una libertà senza il padre e non contro il padre.

In una società sempre più cinica e narcisistica, i padri non sanno perdere. E quindi non insegnano a perdere. Non sanno che prima o poi ogni padre deve essere ucciso. Simbolicamente ucciso. Ma ecco, dove manca la morte simbolica, farsi strada la morte reale.

I padri non sanno che devono essere lasciati, e che devono perdere il figlio amato. Non sanno che devono dare ai figli il permesso di intraprendere un viaggio dove loro potrebbero anche non esserci. Dovrebbero sapere che se vogliono ritrovare il figlio devono essere disposti a perderlo. Devono perdere ed educare a perdere.

Per fare questo il padre deve essere disposto a farsi ferire. Ma il padre-Narciso di oggi non sa soffrire. Non sa accettare che il figlio sia altro da lui, oltre lui, meglio di lui. Che non sia come lui vuole che sia. Alla educazione oggi stiamo sostituendo la clonazione affettiva. Creiamo doppioni per non morire e non trascendenze per generare.

Nella vita al tempo della vicinanza prima o poi si sostituisce il tempo della lontananza. La libertà può o allontanare o avvicinare. I figli sono sempre in partenza per un paese lontano. Quanto pesa questa parola nel cuore dei padri: lontano. Eppure nei padri le lontananze non esistono, e se esistono si annullano. La paternità include ogni lontananza, supera ogni distanza.

Il padre è come un arco. Lo dice il salmo 127: i giovani e i figli sono come delle frecce in mano ad un eroe. L’arco indica stabilità e fermezza, ma anche disponibilità a lasciare andare via, lontano, la freccia. L’arco è il padre-adulto che con la sua stabilità e fermezza dà sicurezza e fiducia al giovane, il quale comincia ad affrontare la vita da solo, con una progressiva autonomia e libertà. Si tratta di generare la libertà e alla libertà.

Ma quale libertà? Nel contesto attuale di totale permissivismo la libertà viene vista più come un regalo piuttosto che come una conquista. Purtroppo, quando la libertà non costa alcuna fatica, viene ben presto sprecata. La libertà quando viene regalata fa presto a diventare delirio. Capriccio. Non sa trasformarsi in responsabilità.

Quando si è bambini i padri appaiono ai figli come luoghi in cui le terre non hanno misura, né distanza, perché tutto si trova raccolto sui loro volti rassicuranti. Ma quando si diventa giovani le mura di casa iniziano ad essere troppo strette per riuscire a farci entrare il mondo intero.

I giovani hanno bisogno di guardare i padri da lontano per sperimentare tutta la propria libertà. Necessitano della loro assenza per cominciare a tratteggiare la forma nuova della loro presenza. Per disegnare luoghi nuovi, inediti. Per diventare padri di altri luoghi in cui ospitare altri che saranno per loro figli.

Auguri ai padri, perché sappiano insegnare ai propri figli a viaggiare in un mondo senza di loro!

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