di Michele Illiceto
Attuale e ricca di provocazioni è la Lettera pastorale che Mons. Luigi Renna, Amministratore apostolico della nostra diocesi, ha scritto per la sua diocesi di Cerignola per l’anno 2019. Il titolo del testo è “Chiesa e famiglia. Grembi che generano presenze che accompagnano”. Il tema centrale del documento è come gli adulti possono essere generativi per affrontare le sfide dell’attuale società liquida.
Il vescovo di Cerignola parte da una preoccupazione che è di Papa Francesco per il quale “Abbiamo bisogno di adulti che ci ricordino quanto è bello sognare in due! Abbiamo bisogno di adulti che pazientino nello starci vicino e così ci insegnino la pazienza di stare accanto; che ci ascoltino nel profondo e ci insegnino ad ascoltare, piuttosto che ad avere sempre ragione! Abbiamo bisogno di punti di riferimento, appassionati e solidali. Non pensa che all’orizzonte siano rare le figure di adulti davvero stimolanti? Perché gli adulti stanno perdendo il senso della società, dell’aiuto reciproco, dell’impegno per il mondo e nelle relazioni? Perchè questo tocca qualche volta anche i preti e gli educatori? Io credo che valga sempre la pena di essere madri, padri, amici, fratelli… per la vita! E non voglio smettere di crederci!” (Ivi, pp. 5-6).
L’obiettivo è riuscire a capire i grandi cambiamenti del nostro tempo. E per fare questo il vescovo propone due criteri metodologici: “l’ascolto dei tempi (l’auditus temporis) e l’ascolto della Parola”. Insomma Parola e storia. Per poter fare quello che la Chiesa da sempre ha definito come “discernimento”, cioè interpretare i processi culturali e sociali come sintomi di una fame e di una sete molto più profonde, radicate in domande ineludibili che attraversano e inquietano le menti e i cuori degli uomini e delle donne di oggi.
Per poter dire chi sono gli adulti generativi, Renna in primo luogo ribdisce la necessità di definire il paradigma della generatività, focalizzando alcuni caratteri che la specificano.
Richiamando alcune tesi dello psicologo sociale E. Erickson, il presule sostiene che dopo il periodo della propria giovinezza ogni adulto si trova come di fronte ad un bivio: o vivere la stagnazione pensando solo a sé stesso e vivendo concentrato solo sul proprio “io”, oppure scegliere di vivere la generatività, intesa come capacità di aprirsi all’altro, alla società, al tempo da vivere responsabilmente.
Due modi di vivere la cui differenza gli inglesi evidenziano con due termini: “i takers (dal verbo to take, che significa prendere), sono quelli che pensano solo a prendere e ad “arraffare”; i givers (dal verbo to give, che significa donare), che sanno spendersi per il prossimo generosamente, unendo dedizione a soddisfazione autentica di poter gioire con gli altri” (Ivi, p. 9-10).
Ispirandosi al testo di M. Magatti – C. Giaccardi, (Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi, Feltrinelli, Milano 2014), Mons. Renna scrive che “le vite di personalità adulte e positive sono caratterizzate da quattro verbi: desiderare, partorire, prendersi cura, lasciar partire. Nei confronti di un figlio, ad esempio, una coppia è abitata dal desiderio di donare la vita e in questo modo prepara già “lo spazio” dell’accoglienza ad una nuova creatura; poi la genera e la mette al mondo, non solo fisicamente, ma accompagnandola nelle prime tappe dell’esistenza; quindi se ne prende cura, incoraggiandola nelle scelte, sostenendola nelle sconfitte, mettendosi accanto nelle fasi più delicate; infine “lascia partire” perché il figlio realizzi una vita che non rimanga “proprietà” dei genitori, ma fiorisca, generi altra vita” (Ivi, p. 10).
Non basta aver conquistato i diritti e le libertà. E’ necessario oggi saper gestire tale conquista. La libertà, infatti, rischia di scoppiarci tra le mani. Di implodere. A tal proposito Mons Renna parla di un mito che affascina l’uomo contemporaneo: il mito, dell’autorealizzazione. “L’immagine plastica di tale aspirazione ci è data in una famosa scultura di un artista americano: l’uomo che si costruisce da solo (il Self made man di Bobbie Carlyle), che rappresenta una persona che sta scolpendo sé stessa con tanto di martello e scalpello” (Ivi, p. 11).
All’uomo che persegue questo mito manca l’esperienza dell’altro. Di ongi forma di alterità. E tale alterità gli manca in maniera doppia: gli manca sia l’altro da cui viene sia l’altro a cui darsi. L’uomo di oggi non sa fare due cose: non sa riceversi e non sa donarsi. E non sa donarsi perché non sa riceversi. Scrive Renna: “il mito dell’autorealizzazione è senza l’altro, ed è il contrario dell’esperienza della generatività, nella quale la persona fa l’esperienza di ricevere sé stessa, l’eredità di una sapienza antica, l’amore” (Ivi, p. 12).
Non si può essere generativi se non si riconosce che si è stati generati. Il mito dell’autorealizzazione non fa altro che rispecchiare un altro mito: quello di Narciso che, innamoratosi della propria immagine, assolutizza il proprio sé esorcizzando ogni forma di alterità.
Non si può essere generativi se non si riconosce che si è stati generati. Il mito dell’autorealizzazione non fa altro che rispecchiare un altro mito: quello di Narciso che, innamoratosi della propria immagine, assolutizza il proprio sé esorcizzando ogni forma di alterità.
Forse allora dovremmo dare ragione a Zagrebelsky, citato in modo pertinente dal vescovo Renna. Il quale afferma che “Se ci guardiamo intorno, colpisce il fatto che, nella percezione diffusa, le tre età della vita si siano ridotte a due, non come un passaggio dall’una all’altra, ma come sprofondamento, come tracollo, come rovina dell’una (l’età giovanile), che si affaccia sull’altra (la vecchiaia). La seconda è vissuta come fallimento della prima. Possiamo ancora parlare del passaggio in fasi o dell’arco o della parabola della vita, oppure rappresentiamo la nostra esistenza come segnata dalla frattura, una caduta, una perdizione o una spoliazione violenta?” (G. Zagrebelsky, Senza adulti, Einaudi, Torino 2016, p. 46).
E’ proprio vero che siamo senza più passaggi, senza più luoghi di mediazione, senza più riti di iniziazione, o tali strumenti hanno soltanto cambiato forma e modalità?
Due sono i sintomi evidenziati da Renna a tale proposito. Il primo, riprendendo un libro di M. Recalcati, riguarda il fatto che ci troviamo in una “società senza padri, nella quale i giovani sono come Telemaco, il figlio di Ulisse, che aspettava ansiosamente il ritorno del padre dalla guerra, perché vedeva la sua patria, Itaca, andare in sfacelo a causa della presenza dissoluta dei Proci”. Il secondo sintomo è dato da quella “generazione di piccoli atei che crescono nelle nostre stesse comunità cristiane” (Ivi, p. 14).
La sfida allora è che ci troviamo di fronte adulti impauriti e smarriti, disorientati con un profondo senso di sconfitta che li fa consapevolmente sentire impotenti, e che proprio per questo ,motivo vanno essi per primi aiutati e sostenuti da quelle agenzie educative che sono preposte a svolgere tale importante funzione.
La questione allora è come spronare gli adulti ad essere più generativi nella società, in famiglia e nella chiesa.
Ed è a questo appunto che Mons. Renna in qualità di pastore e di teologo ci presenta due icone bibliche quali figure emblematiche di adultità. La prima positiva e generativa, la seconda invece negativa e sterile. Chissà in quale di esse ci riconosceremo. Ma di questo parleremo la prossima puntata.