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14 Oct

SOPRAVVISSUTO AI LAGER NAZISTI: MEDAGLIA D’ONORE ALLA MEMORIA DEL SANGIOVANNESE DOTT. GIUSEPPE RUBERTO

SOPRAVVISSUTO AI LAGER NAZISTI: MEDAGLIA D’ONORE ALLA MEMORIA DEL SANGIOVANNESE DOTT. GIUSEPPE RUBERTO

 Sua figlia Teresa: «Il giusto riconoscimento per una sofferenza che ci ha segnati per sempre»

Sarà conferita domani presso la Prefettura di Foggia alla memoria del sangiovannese Dott. Giuseppe Ruberto (conosciuto da tutti come “Don Peppino La scienza”) la medaglia d’onore ai cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti. A ritirarla la figlia Teresa, l’unica della famiglia a potersi recare alla manifestazione, a causa delle restrizioni per il Covid-19.

Giuseppe Ruberto, classe 1903, figlio unico di Lucia Pennelli e Antonio Ruberto, cresce passando il suo tempo nella drogheria di famiglia, in Corso Regina Margherita a San Giovanni Rotondo. Laureato in farmacia, avrebbe potuto lavorare nell’attività del padre, ma preferì invece dedicarsi all’insegnamento della chimica presso l’istituto magistrale appena nato “Maria Immacolata” e ad opere assistenziali. Il 27 luglio 1940 sposò Anna Maria Draisci, ed ebbe cinque figli: Lucia, Teresa, Antonio, Michele e Piero.

È proprio Teresa a raccontare la storia di Giuseppe, attingendo ai suoi ricordi di bambina e ai documenti di famiglia custoditi gelosamente.

«È il 1943 quando papà riceve la chiamata alle armi con il grado di capitano del 55° raggruppamento chimico-sanitario: viene mandato a Rodi Egeo. Per la prima volta, vede in faccia la morte, a cui scampa miracolosamente: due dei tre sommergibili bombardati dai tedeschi affondano. Il terzo, quello su cui si trova lui, no. Qui ritrova un sangiovannese, Salvatore Fini, e come lui scrive nel suo memoriale, papà si prodiga a curare malati e feriti. In seguito, con l’avvento degli americani, vengono deportati in Germania con un treno nel campo di Zwaiglanger».

«D’ora in avanti per i tedeschi cessa di essere Giuseppe Ruberto e diventa un numero con la matricola 104870. In quanto farmacista, i tedeschi intercettano in lui le qualità e le conoscenze che potrebbero utilizzare per gli esperimenti scientifici sugli altri deportati e decidono di mandarlo in un’industria chimica della Bayer, ma lui rifiuta», spiega Teresa. Nei suoi diari se ne legge la causa: in merito a quello che accadeva nel lager, Giuseppe parla di «un trattamento bestiale…» riservato ai prigionieri. Dopo la sua rinuncia, il 25 gennaio del 1945 viene spostato nel campo di Forellenkrust e qui incontra un altro sangiovannese, Michele Belvito. «In lui papà trova un amico dalle comuni radici, con lui divide il rancio, le umiliazioni, con lui divide quella grande inaudita sofferenza», commenta Teresa.

Il 25 marzo del 1945, i tedeschi, intercettato l’imminente arrivo degli americani, costringono i prigionieri ad una marcia forzata di 90 km che si rivela inutile. L’esercito americano raggiunge i fuggitivi, i tedeschi scappano, e vengono liberati gli increduli uomini e donne, numeri per i tedeschi, ma persone, madri, padri, figli, fratelli. Giuseppe chiede ad un comandante americano di poter inviare una lettera a sua moglie Anna Maria per farle sapere di essere vivo. La lettera, datata 4.6.1945, viene mandata in Massachusetts e poi spedita alla famiglia nel foggiano. Giuseppe scrive: «Sono libero dal giorno cinque di aprile. La mia gioia è immane. Mi mancano vostre notizie dai primi del mese di maggio dell’anno scorso. Vi penso tutti in buona salute. Della mia attuale vi posso garantire ottima. Spero potervi abbracciare presto. Salutatemi tutti i parenti e gli amici. Un caro ricordo per Padre Pio. Bacioni a papà e Lucia. A te abbracci e baci. Peppino».

Il 26 luglio del 1945, prima di tornare a San Giovanni Rotondo, “don Peppino” fa una sosta a Foggia a casa di un amico. Qui, racconta sua figlia Teresa, «papà, per una grande dignità, al pensiero di tornare a casa dalla sua famiglia, si rimette in sesto, si lava per bene, si cambia d’abito, cerca di sistemarsi il più possibile, a voler nascondere una sofferenza impossibile da cancellare e che si sarebbe portato dietro per sempre».

«Ho un fervido ricordo di bambina della figura di mio padre, un uomo molto severo ma estremamente disponibile, colto e buono. Una persona davvero squisita – queste le parole di Teresa che non riesce a nascondere la grande commozione nel ricordare un uomo per lei così importante – Quando ho saputo del riconoscimento alla memoria di papà, ho pianto tutto il giorno. Sono sicura che lui ne sarà felice, da lassù».

 

Lucy Gemma

Ufficio Stampa del comune di San Giovanni Rotondo

 

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